Dall’8 novembre al cinema

Se il cinema italiano lascia senza parole, dagli USA arriva un film mozzafiato, ricco di azione da film di guerra ad alta tensione, che offre suspense, dramma storico e commedia hollywoodiana. Ben Affleck ha fuso con maestria questi elementi per realizzare Argo, il suo terzo film da regista, che ha interpretato e coprodotto con George Clooney e Grant Heslov, che Warner Bros. distribuirà in oltre 300 sale italiane dall’8 novembre. Per sé ha ritagliato l’affascinante ruolo del protagonista, l’agente della CIA Tony Mendez, al fianco degli ottimi Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber.

Il film, girato tra Los Angeles, Washington D.C. e Istanbul, basato su fatti realmente accaduti, racconta la missione segretissima e impossibile affidata all’agente Mendez, specializzato in azioni di infiltrazione, per liberare sei cittadini statunitensi durante la crisi degli ostaggi in Iran. Un thriller coinvolgente sin dalle prime sequenze, dal ritmo incalzante e dall’intreccio ben articolato, su una delle esfiltrazioni più clamorose della storia dei servizi segreti americani, che riesce persino a ironizzare pesantemente e in modo esilarante sugli “studios” con scambi di battute al vetriolo tra un produttore e un regista americani.

Affleck ha tratto il film da una sceneggiatura di Chris Terrio basata su un estratto di Master in Disguise di Antonio J. Mendez e dall’articolo The Great Escape del Wired Magazine. «Il materiale era tantissimo – spiega l’attore, regista e produttore, presentando il film a Roma -, ho voluto attenermi alle verità fondamentali della storia, aggiungendo un po’ di azione nella seconda parte del film per creare più pathos». Non voleva fare un film politico, spiega: «Volevo mostrare da varie prospettive com’era la situazione in Iran trent’anni fa, commentare quella storia così forte. Non sono un esperto politico ma la crisi degli ostaggi danneggiò l’amministrazione Carter – sottolinea –. Comunque il cinema non deve necessariamente salvare la gente. È una forma d’arte che può toccare, commuovere, volevo rendere omaggio a chi si sacrifica per il proprio paese, senza essere didattico. La storia si è ripetuta, oggi non siamo tanto lontani da quegli eventi».

Clooney, che con lui ha prodotto il film, l’ha consigliato nell’affrontare questa terza regia. «Non è facile avere fiducia in se stessi quando si deve decidere di dirigere un film – confessa Affleck -. Da attore cerchi una valida parte, ma ho dovuto riflettere a lungo prima di passare dietro la macchina da presa. Clooney mi ha aiutato e protetto, si è preso cura di me. Fa film politici, è molto intelligente, osservatore, tra noi c’è un ottimo scambio di opinioni».

Della gustosa presa in giro degli Studios dice: «Anche nell’umorismo c’è un fondo di verità. Hollywood è piena di cialtroni che tirano acqua al loro mulino – ammette -, come i due produttori del film che mostrano cinismo verso certi registi pomposi». Li definiscono ‘macachi’: «Qualcuno in giro c’è, forse anch’io lo sono» ridacchia Affleck. Sarà, ma non è da tutti realizzare un buo film, così carico di suspense. «È da attribuire alla recitazione – si schermisce lui -, ti fa accelerare il battito cardiaco. Ci vuole una buona scrittura – spiega -, senza troppi calcoli matematici, senza abbellire troppo le riprese falsando la realtà».