Il ritorno dell’Horror. Quello autentico che attinge al fumetto, al sogno, alla moda, all’incubo. Figure vecchie come il mondo (del cinema), vampiri e licantropi si danno battaglia gli uni contro gli altri da secoli (meno male che la sceneggiatura di Kevin Grevioux e Danny McBride si premura di spiegarci il perché) tra le sotterranee viscere di Budapest, città che già di suo di giorno incute timore. La sorpresa, questa volta, è però il cast artistico e tecnico. A parte una combattiva Kate Beckinsale non più fidanzatina sospirosa (Pearl Harbor, Serendipity) nei panni della succhia-sangue Selene (che già nel nome ha un codice genetico che la legherà alla razza che cerca di sconfiggere), attori e regista – evviva – sono perfetti sconosciuti. Il regista Len Wiseman proviene dalla pubblicità e dai videoclip musicali, ma sa fare il suo mestiere e non possiede spocchia; tra gli altri attori solo Scott Speedman, l’umano di cui Selene si innamora e oggetto del desiderio dei lupi mannari che ne vogliono fare un misto tra razze con superpoteri, ha già fatto qualche cosa (Indagini sporche – Dark Blue), mentre Bill Nighy (qui irriconoscibile nei panni di Viktor, capostirpe dei vampiri con un passato non proprio fulgido) era lo scatenato rocker Billy Mack in Love Actually. Pagati i vari debiti ai due Blade e a Matrix (la Beckinsale deve aver rubato il guardaroba a Trinity), è Il corvo (ma anche Hellraiser) il principale punto di riferimento di tutto l’impianto narrativo e scenografico. Ma seppur con una ventina di minuti in eccesso Underworld non scade mai nel kitsch involontario, mantiene bene tutte le sequenze coreografiche d’azione e tratta il “sangue” come materia prima e primaria, non come elemento per disturbare gli animi più nobili. Gotico, notturno, senza cliché di sorta (aglio, croci, ululamenti alla luna e quant’altro fa solitamente da sfondo a film come questi) e con una certa decadenza retrò per il make-up che non fa dispiacere ritrovare in questi tempi effettisticamente digitalizzati e freddi, il film poteva offrire sbocchi più interessanti (l’unione fra razze diverse come odiosa tolleranza, la tragedia skakespeariana consumata secoli prima e origine nascosta della battaglia fra le due specie) ma non delude, anzi connota questa eterno scontro tra creature della notte sopravvissute e sopravviventi di un velo di culto che sa di autentico, di poco masticato, e non è poco. E aggiunge al già uscito Freddy vs. Jason e al prossimo Alien vs. Predator (ci sarà Raoul Bova…brrr!!) la consapevolezza che per rinverdire i fasti di un genere abusato ma di là dal tramontare occorre far scontrare i miti di sempre per ritrovare un pubblico.

di Alessio Sperati