Un ciarlatano che crea una religione per non pagare le tasse. Su di lui si sviluppa e ruota il film di Alessandro Aronadio Io c’è con Edoardo Leo, Margherita Buy, Giuseppe Battiston. Il regista, che si professa ateo, ha sempre avuto una grande curiosità per il mondo della fede. Da migliaia di anni miliardi di persone hanno bisogno di credere in qualcosa, perché non fare una commedia sul tema della religione? Inventa dunque una storia in cui il proprietario di un bed & breakfast (Leo) con pochi clienti ma oberato dalle imposte, decide di trasformarlo in un luogo di culto, esentasse, dove ospitare come in un convento i turisti in cambio di una donazione. Per fare la variazione d’uso deve però fondare una sua religione, nasce così lo Ionismo, che mette l’Io al centro dell’universo, ha come icona lo specchio e trasforma i comandamenti in suggerimenti. Pian piano la fila dei fedeli, abbigliati e indottrinati a dovere, degli esaltati a caccia del miracolo, s’ingrossa fino all’inverosimile. Consentendo a questa neonata setta di essere ufficialmente riconosciuta.

Una commedia politicamente scorretta, che non mancherà, come si augurano gli autori, di sollevare polemiche, perché per cercare di far ridere (cercare) su un tema così spinoso l’autore non perde occasione per sbeffeggiare il clero. Una sorta di viaggio intorno alla porcheria umana, dove uno scrittore fallito (Battiston) diventa il teologo di questo credo farlocco intorno al quale cresce l’entusiasmo popolare. Persino quello della solida sorella del protagonista (Buy), che lo usa come leva per scappare dal grigiore della sua routine familiare.

L’uscita del film nella settimana pasquale vuol essere un richiamo scherzoso perché, secondo gli autori, è profondamente rispettoso di chi crede, e non vuol dare giudizi. Credere, sostiene Leo che ha scritto la sceneggiatura con Aronadio, è sempre un antidoto al cinismo che ci circonda e che oggi è molto cool, ma che ci sta portando all’aridità. In un’epoca in cui i selfie sono un modo per sentirsi vivi, poter appartenere a un gruppo restituisce un’identità. Il film vuol essere una metafora sul confine tra fede e cialtroneria, non per irridere ma per accendere un dibattito.