Da dove viene la magia? Niente è più magico della realtà, se la si guarda attraverso gli angoli bui nei quali spesso sono state relegate le donne: la nascita, l’infanzia, il corpo ammalato, la morte. Da questa considerazione sono partite Francesca Comencini, Susanna Nicchiarelli, Paola Randi per la regia di Luna Nera, la serie basata sul romanzo di Tiziana Triana, prodotta da Fandango, in onda in esclusiva su Netflix dal 30 gennaio.

Un nutrito cast di giovanissime, promettenti attrici, quattro mesi di riprese tra gli studi di Cinecittà, la magica cornice di Canale Monterano, l’incantevole borgo di Celleno, il castello di Montecalvello appartenuto negli anni ’60 al celebre artista parigino Balthus, la Selva del Lamone, Sorano, Sutri e il Parco degli Acquedotti di Roma per ricreare le giuste atmosfere di questo fantasy che mette insieme un mondo realissimo e al tempo stesso magico. Un fantasy in costume, tutto al femminile, ambientato nell’ Italia del XVII secolo, che prende le mosse quando, in seguito alla morte di un neonato, una levatrice sedicenne viene accusata di stregoneria. Trovato rifugio in una misteriosa comunità di donne al limitare del bosco, la ragazza è costretta a fare una scelta tra l’amore impossibile per il figlio del capo dei cacciatori di streghe e l’adempimento del suo vero destino, una minaccia per il mondo in cui vive, diviso tra ragione e misticismo. Gli effetti magici, spiegano le registe presentando la serie, sono il sale del racconto, che si dipana nelle agre campagne della Tuscia, attraverso le facce realissime di donne che vengono chiamate streghe ma che sono solo donne che con la loro sapienza e la loro differenza spaventano.  

Unite da passione ed entusiasmo hanno raccontato la strage invisibile di donne che per secoli nel nostro paese e in altre parti d’ Europa è stata compiuta. Non si conoscono i nomi delle donne bruciate vive perché accusate di stregoneria, né il loro numero esatto. La loro strage non viene insegnata nei libri di storia. “Caccia alle streghe” è un’ espressione che evoca paura perché si riferisce alla persecuzione di persone non per ciò che hanno fatto, ma per ciò che sono. Non le hanno rappresentate come vittime perché, sostengono Comencini, Nicchiarelli e Randi, sono perseguitate forse più per la loro forza che per la loro debolezza. Una forza di cui loro stesse non sono consapevoli, e che, a mano a mano che il racconto procede, imparano a riconoscere e a usare.