Non è detto che tutti i supereroi Marvel e DC debbano diventare film, anche perché molti (con il tempo delle due ore cinematografiche) darebbero vita solo a storie di bassa levatura e a vicende altamente banali. È questo il caso. Il Punitore è un anti-eroe molto particolare, custode di un malessere socio-culturale del suo tempo. Siamo lontani da concezioni di un Superman, il cui unico difetto era quello di innamorarsi di Lois Lane. Figure come il Punitore non hanno poteri soprannaturali ma abilità particolari, uniti a problemi di comunicazione, alcolismo, e sono spesso costretti a fuggire o nascondersi per salvarsi, insomma sono molto più umani di tanti ‘colleghi’. Qualche altro esempio: Batman affronta le psicopatologie seguite alla morte dei genitori dedicando le sue notti insonni alla caccia dei criminali, gli X-Men devono affrontare problemi di emarginazione e razzismo. Daredevil è un non vedente, ecc. La figura di Frank Castle, l’ex-agente FBI privato dei suoi cari per una vendetta personale, nacque nel febbraio 1974 in una parte secondaria dell’albo The Amazing Spider-Man. Il suo successo si attribuisce alla contemporanea nascita di altre figure solitarie votate alla tutela della legge: cinque mesi dopo la prima apparizione fumettistica del Punitore, venne proiettato in sala Il giustiziere della notte con Charles Bronson. Al tempo della sua nascita, il Punitore rispecchiava infatti le angosce degli anni ’70, come il crimine e la crisi della società; oggi si va ad inserire, nella sua seconda versione cinematografica (la prima del 1989 è di Mark Goldblatt con Dolph Ludgren come protagonista, ma non fa testo), nella bacheca dei film d’azione basati su vicende di vendetta privata, facendo i conti con decine e decine di precedenti. Anche il messaggio oggi assume un diverso aspetto: se negli anni ’70 la giustizia personale prendeva le parti di una carenza istituzionale, oggi quel «si vis pacem para bellum» (se vuoi la pace prepara la guerra), ha un suono decisamente diverso e molto più internazionale. A parte la poca originalità del plot, la sceneggiatura e lo sviluppo degli eventi lascia molto a desiderare. In particolare non si comprendono i tanti giochetti di Castle, volti a scoprire le abitudini del gruppo Saint, e gli artifici (come il curioso gioco con un idrante che Castle si porta in valigia) che non fanno che ritardare l’inevitabile scontro con il cattivo Howard Saint, scontro che sarebbe potuto avvenire senza alcun impedimento dopo 30 minuti di pellicola. A tale proposito, si rimane sempre più stupiti dalla grande specializzazione dell’ex-ballerino John Travolta, e degli splendidi ‘villains’ che sta portando sullo schermo. Risaputo che i cattivi hanno sortito sempre un maggiore fascino sia sulla carta che sullo schermo, se poi è Travolta a prenderne i ruoli, capita spesso che la scena venga monopolizzata. Un piccolo test: qual’è il primo attore che vi viene in mente se pensate a Codice: Swordfish? Per il resto il cast è mal utilizzato: la stessa Rebecca Romijn-Stamos riesce difficile credere che sia la stessa attrice di Femme Fatale. Collocandosi come un film d’azione e sparatorie di medio livello, The Punisher fa rivalutare altri film basati su fumetto, dove il cast era di un livello molto maggiore. Riprenderemo l’argomento per Capitan America…

di Alessio Sperati