Cosa succede quando due persone sensibili e malinconiche si incaponiscono nel trito proverbio “Il primo amore non si scorda mai”? Sarà irrispettoso che, chi scrive, stronchi clamorosamente ogni film che vede come protagonista una Barbora Bobulova ferma nella sua espressione dolente e corrucciata, a parte la bella prova ne La spettatrice di Paolo Franchi? Ma da Ovunque sei al terribile Cuore sacro di Ozpetek, l’attrice slovacca sembra la copia non pertinente di Irène Jacob nel film La doppia vita di Veronica di Kieslowski e il David di Donatello che si è accaparrata la mette nell’ambasce di dover continuare a rifare il medesimo ruolo, con la medesima faccia (ma una commedia in cui sta continuamente ubriaca potrebbe aiutarla o un lifting alla Ivana Trump in un scoppiettante remake italico di Donne sull’orlo di una crisi di nervi. In ogni caso le facce eternamente pensose e intelligenti spesso fanno autogol al cinema, se proprio non sei Liv Ullmann…).

E i registi, quelli esordienti, non aiutano di certo. Qui un lui e una lei, uniti dal destino e da una serie di incontri casuali, per distrazione e stordimento iniziano a rivivere in una Trieste malinconica all’inverosimile, come se ci fosse caduta sopra la maledizione di Claudio Magris, che aleggia nei bar chic dell’operosa città. Il giovane sembra dover redimersi da una colpa orrenda e lei ha lasciato gli studi universitari per dedicarsi alle pulizie in un grande magazzino (ma il giovane Pasetto non poteva confezionare questo finto mélo dopo aver letto Il responsabile delle risorse umane di Abraham B. Yehoshua?). Entrambi amano vivere di ricordi vaghi del passato e di immaginazione, rifiutando il contatto col presente e con gli altri e infatti sono noiosissimi. Il montaggio sincopato, sceneggiatura che sembra la scrematura di Le parole di mio padre di Francesca Comencini e la Bobulova che si ributta in piscina per l’ennesima volta, come se il trentaquattrenne avesse già scoperto le intenzioni della factory Romoli/Ozpetek. Questo è un minimalismo sconcertante, barboso, di un cinema italiano quasi estinto, che non rimpiange nemmeno Monicelli e Risi, quasi avesse paura di lesa maestà. Che triste momento…

di Vincenzo Mazzaccaro