Dopo alcuni minuti in cui immagini forti e d’impatto scorrono imprimendosi nella mente dello spettatore, si comprende perfettamente il motivo della sorpresa provata da Quentin Tarantino a seguito della visione di Old Boy di Park Chan-wook durante la passata edizione del Festival di Cannes. Un entusiasmo che ha portato il regista americano ad assegnare al film non solamente il “Gran Premio della Giuria” ma soprattutto a rilasciare una dichiarazione dietro la quale si nasconde tutto l’entusiasmo e l’ammirazione provata di fronte ad uno spettacolo di insolita qualità. Old Boy è il film che Tarantino avrebbe voluto girare, per sua stessa dichiarazione. Le origini di questo film provengono da un Manga giapponese creato nel 1997 da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki e da una trilogia basata sul concetto di vendetta (il primo capitolo è Simphathy for Mr.Vengeance). Park Chan-wook è l’altra faccia del cinema coreano, la possibilità di comprendere che al di là della poesia data dalle immagini e dai silenzi di Kim Ki-duk esiste un altro modo di fare cinema, attingendo a quelle che sono le tradizioni popolari orientali, veicolandole attraverso la conoscenza dei grandi registi occidentali quali Hitchcock per poi renderle parte di una nuova epopea di un moderno ed inaspettato “Conte di Montecristo”.

Visivamente violento (un polipo viene praticamente mangiato vivo, si effettua la tortura dei denti ed il taglio della lingua come un Edipo che sceglie di espiare le sue involontarie colpe) il film colpisce obiettivamente più per la continua carcerazione emotiva con cui il personaggio continua a convivere nonostante la ottenuta libertà fisica, mantenendo l’attenzione dello spettatore viva e mai rassegnata alla prevedibilità come la migliore tradizione della suspence richiede. Colpito nella sua immaginazione giovanile dai risvolti psicologici de La donna che visse due volte, Park Chan-wook si concentra con particolare attenzione sugli incubi interiori e sulle ricerche che coinvolgono e travolgono il suo protagonista (Oh Dae-soo). Old Boy riesce a coinvolgere lo spettatore nonostante le sue due ore di durata e lascia un quesito fondamentale: Oh Dae-soo incarna realmente l’eroe che sceglie di lottare contro il male, rischiando una distruzione sistematica e fisica del proprio essere? A lasciare aperto questo interrogativo è lo stesso regista che ammette la sua intenzione di lasciare i personaggi al di fuori di una precisa categoria. In fin dei conti l’uomo perfetto sembra proprio non esistere e la sete di vendetta come il troppo idealismo sono solamente delle virtù che bilanciano i troppi vizi umani.

di Tiziana Morganti