Nel giorno della memoria oggi è possibile parlare degli uomini e della loro spontanea capacità di vivere comunque un ‘esistenza altrimenti invivibile. Dopo più di sessant’anni dall’apparizione della prime leggi razziali nell’Europa soggiogata dal dominio nazista e dalle deportazioni di massa che colpirono profondamente la comunità ebraica, Lajos Koltai, al suo esordio come regista, ci offre finalmente una visione insolita dell’ Olocausto. Attraverso la sua macchina da presa la drammaticità dell’evento si spoglia di una consueta iconografia divenuta quasi luogo comune, per procedere dall’esterno verso l’interno fermandosi nel mezzo di questo particolare tragitto proprio dove è possibile rintracciare l’uomo. Dunque niente S.S. con stivali neri, frustino e pastori tedeschi al seguito, nessun piacere nell’indugiare in un sensazionalismo emotivo ed emozionale in cui è semplice e perfino doveroso cadere in vicende come queste. Senza destinonon somiglia a nessun film realizzato fino ad ora sulla Shoah. Lontano anni luce da Schindler’s ListLa vita è bella e Tren de vie, celebra attraverso la sintesi, l’asciuttezza e la linearità dello stile il percorso evolutivo di un ragazzo capace di osservare con occhi privi di giudizio lo svolgersi di un destino irrefrenabile e del tutto casuale. Un piccolo e fondamentale gioiello cinematografico nato da un incontro illuminante con lo scrittore ungherese premio Nobel per la Letteratura nel 2002, Imre Kertesz autore dell’ omonimo romanzo da cui è tratto il film.

«La base di tutto il mio lavoro è stato proprio il libro di Kertesz letto più o meno nel 2000 – dichiara Koltai – Immediatamente ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a qualche cosa di totalmente diverso e nuovo. Rimasi colpito dallo stile e dal linguaggio insolito per la letteratura ungherese. Dentro di me ho cominciato ad avere netta la sensazione di visualizzare ogni singola pagina. A quel punto ho avvertito la consapevolezza di essere in grado di realizzare questo film». Eppure nonostante l’entusiasmo immediato provato dal regista e dall’autore il progetto ha richiesto ben quattro anni di tempo per essere portato a termine. Dopo aver trovato in Marcell Nagy il perfetto protagonista il film ha goduto di una accelerazione e di un certo sostegno economico elargito dal governo stesso. Dunque ci troviamo di fronte ad un’ opera che ha tratto beneficio dai privilegi di una lenta e meditata evoluzione. Che nulla sia lasciato al caso dal punto di vista narrativo come da quello tecnico è più che evidente. Per sfuggire al pericolo del sentimentalismo Koltai si è affidato totalmente alle sensazioni ed alle situazioni descritte da Kerstesz, mentre per arricchire l’opera di un valore estetico sempre al servizio della storia, si è valso delle sue capacità esercitate in ben 70 film realizzati come direttore della fotografia.

Ed è proprio l’immagine, sofisticata nel color seppia tra le strade di Budapest ed ingrigita dall’oscurità del lager che, profondamente fusa con la musica, determina il significato di molti attimi in cui gli eccessi della parola sono del tutto inutili ed inappropriati. Dalle mani esperte di Ennio Morricone è nata una melodia capace di descrivere da sola l’intero sentimento del film. Una musica che fonde dolore ed una dolce malinconia sembra essere sgorgata direttamente dal cuore del maestro, coinvolgendolo ed inducendolo ad una spontanea commozione. «Avrei potuto scrivere una musica che sottolineasse con enfasi la drammaticità – spiega lo stesso Morricone – ma ho preferito dar voce alla pietas ed all’umanità». Senza destino (in sala dal 27 gennaio con 80 copie) sembra aver sentimentalmente coinvolto i suoi realizzatori, legandoli ad una esperienza di crescita e presa di coscienza che mai li abbandonerà completamente. Mentre le immagini scorrono quasi dolcemente nella loro linearità lo spettatore viene avvolto da una commozione priva di alcuna eccezione di pietismo. Nemmeno per un momento lo sguardo è indotto a scostarsi dallo schermo per l’atrocità dell’immagine mostrata. Ogni attimo è visibile perché passato, giunto a noi attraverso gli occhi di un bambino la cui unica risorsa di sopravvivenza è comprendere ed accettare la sofferenza e l’inevitabile agguato di una prossima felicità. Perchè in fondo molte sono le scuse che si possono trovare per continuare a vivere.

di Tiziana Morganti