Spesso il successo è un arma a doppio taglio. Comporta aspettative, pretese ed una forte pressione creativa nel tentativo di superare se stessi. Lo sanno bene il regista Gore Verbinski, gli sceneggiatori Ted Elliott e Terry Rossio, per non parlare di Johnny DeppOrlando Bloom e Keira Knightley. Questa è la squadra che ha avuto il merito di creare la saga di Pirati dei Caraibi, trasformatosi in una sola stagione in un kolossal a puntate capace di abbattere molti record cinematografici. Con La maledizione della prima luna la Dinsey ( produttrice e distributrice del film) ha visto entrare ben 650 milioni di dollari dai botteghini di tutto il mondo. Dal sequel La maledizione del forziere fantasma non ci si aspettava un risultato ugualmente eclatante ( è noto che il secondo capitolo incassa sempre meno), ma la febbre dei “pirati” lo ha portato in vetta trasformandolo nel terzo maggior incasso mondiale di tutti i tempi con oltre un miliardo di dollari guadagnati a livello internazionale. Questa l’eredità travolgente ed un po’ pesante con cui regista e sceneggiatori hanno dovuto fare i conti per dare al popolo cinematografico il tanto atteso Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo, terzo capitolo della saga del Capitano Jack Sparrow e compagni. A questo punto cosa inventare di innovativo e sconvolgente? Come attirare l’attenzione del pubblico e con quali incredibili effetti arricchire un prodotto che della Motion Capture e dell’ Imocap ha fatto il segreto del suo successo? Niente di più semplice che coinvolgere tutti i protagonisti in un intricato vortice di alleanze e tradimenti nel tentativo di liberare Jack dallo scrigno di Davy Jones, farli viaggiare tra Singapore e Caraibi fino al regno dei morti e coinvolgerli in un finale e spettacolare scontro navale con la Compagnia delle Indie. Non potevano mancare nemmeno coinvolgimenti sentimentali, matrimoni celebrati in tutta fretta durante l’infuriare di una battaglia ed amanti traditi e traditori. Insomma un gran calderone narrativo all’interno del quale gli sceneggiatori hanno condensato ( si fa per dire visto che il film dura ben due ore e quarantanove minuti) pillole di meditazione morale, dato che ogni personaggio si trova di fronte ad un conflitto interno e ad un momento di pura cattiveria. Il risultato è un film sicuramente diverso dai precedenti per atmosfere e gestione della storia. Fin dall’inizio intricato e poco deduttivo, questo terzo capitolo si lascia sedurre da troppa narrazione mettendo in disparte l’azione. Una pecca non da poco per un film che ha l’ambizione di sostenere un’estensione temporale piuttosto importante. Per gran parte della visione ragionamenti, tormenti interiori ed un pizzico di ironia sono sempre li a richiamare un’azione forse troppo posticipata. Dopo un inizio particolarmente promettente tra le ombre minacciose di una Singapore soffocante, la parte centrale induce decisamente al colpo di sonno. Bisognerà attendere l’ultima ora per provare il brivido della battaglia e dell’inatteso. Un momento in cui si sono concentrati anche i maggiori sforzi della squadra degli effetti speciali. Per lo scontro apocalittico che vede impegnati i pirati contro la flotta della Compagnia delle Indie Orientali durante una tempesta di origine sovrannaturale, Rick Heinrichs e John Frazier hanno collaborato nel tentativo di far emergere gli elementi fisici dagli effetti speciali. In questo senso è stata costruita una torre elevatrice su entrambe le estremità delle navi per alzarle di quattro-cinque metri e ottenere in questo modo i movimenti tipici di una imbarcazione in mezzo all’oceano. Ma gli attori hanno pagato il prezzo più alto in nome della spettacolarità. Il Maelstrom rappresenta sicuramente uno dei momenti più intensi del film ma anche la peggiore esperienza per i protagonisti. Rimanere per tutto il giorno sotto il getto costante di 25.000 galloni di acqua pompati al minuto non è esattamente esaltante, anche se i lauti compensi ottenuti avranno alleviato in qualche modo la pena. Al pubblico invece non rimane che correre al cinema per trasformare anche questo terzo capitolo in un successo mondiale, sostenere con coraggio da veri filibustieri quasi tre ore di un film certo non indimenticabile ed avviarsi con rassegnata consapevolezza verso l’attesa di un prossimo episodio fin troppo “telefonato” grazie ad un finale che sa di promo.

di Tiziana Morganti