Per alcuni è la prima femminista della letteratura ottocentesca. Per altri semplicemente un’eroina romantica senza merletti, col cuore in mano e la parola sempre pronta all’attacco. Elizabeth Bennet, chi era costei? dirà qualcun’ altro ma a citare, invece, Orgoglio e pregiudizio, titolo del più noto romanzo di Jane Austen si colpisce comunque nel segno, perché quanti possono dire di non averlo mai sentito nominare tra pagine scritte, valanghe di fotogrammi cinematografici (sono arrivati a quota dodici gli adattamenti solo in lingua inglese), fiction e passaggi televisivi? Di sicuro Keira Knightley lo conosce da sempre («Da quando mi ricordo di aver letto qualcosa») e di sicuro è tra quelle che il nome di Elizabeth non lo hanno dimenticato. Di più: vi si sono specchiati. Come oggi confessa: «Mi sono identificata sin da bambina con questo personaggio, conosco la sua storia da quando ho sette anni e la leggo da quando ho imparato a leggere. Ne sono quasi ossessionata e trovo che sia una delle storie in cui non è possibile non riflettere se stessi e la propria vita e ciò vale per tutti. In fondo è una storia che, prescindendo dai tempi e dai luoghi, parla degli errori che si commettono crescendo e degli errori cui ci inducono le apparenze e chi non ha commesso errori del genere? D’altra parte la protagonista, Elizabeth, è anche una giovane donna che sembra fuori dal suo tempo, molto moderna. E io mi sono sempre riflessa con lei».

Sempre ma mai sullo schermo. Fino ad oggi. Fino a questa ennesima versione di Orgoglio e pregiudizio, firmata da Joe Wright, regista con molti trascorsi televisivi, che però riescono a farsi dimenticare in questo scoppietante adattamento, non banale, ricco e puntiglioso anche se non particolarmente originale (ma ne abbiamo di tremendi), certamente mai piatto come si richiede con un tale “script” di partenza, gradevole e emozionante come un bel dramma romantico di cui sai già tutto dall’inizio alla fine. Eppure il materiale umano non manca di certo, dalla sempre straordinaria Judi Dench, cattivissima zia classista e spietata al sornione Donald Sutherland, composto padre in cattive acque che si barcamena tra una moglie impossibile (Brenda Blethyn, un po’ sopra le righe) e una piccola frotta di fanciulle in fiore in cerca di marito, dal bello e impossibile Matthew MacFadyen che arriva dal teatro (e si vede), nei panni del malinconico Lord Darcy, alla Knightley che non credeva alle sue orecchie quando il ruolo le è stato offerto e che, sul set, stava talmente in tensione da temere di dimenticare le battute, continuamente («Però in extremis mi ricordavo ogni cosa»).

Ma ai grandi set, affollati da star ormai era pur abituata l’esile Keira, nata come figlia di Robin Hood (nel disneyano La principessa dei ladri), spogliata appena sedicenne nell’orrorifico The Hole, imbacuccata nella Lara di un televisivo “Zivago”, attrezzata da agguerrita calciatrice in Sognando Beckham, esplosa poi nel ruolo di un’altra Elizabeth, la tenace e temeraria giovanetta de La maledizione della prima luna (di cui sta girando i due sequel al fianco di Johnny Depp e Orlando Bloom), infine di nuovo spogliata, ma molto pudicamente, da guerriera nel King Arthur che la vide indomita Ginevra sino a questa eroina romantica perduta nel pregiudizio e ritrovata nell’amore impossibile. Che, come Jane Austen, ci racconta, esiste se noi vogliamo che esista. Ma per Keira il percorso è ormai una discesa, le offerte fioccano e, mentre la sua Elizabeth Bennet prende corpo sugli schermi occidentali, lei si prepara a un altro giro. Di perdizione, stavolta. Sarà (nella prossima primavera) una tossica cacciatrice di taglie nella Los Angeles dei Novanta, duramente pronta a tutto e al fianco del redivivo (ma ormai irriconoscibile) Mickey Rourke, suo boss. Sarà Domino Harvey, ex modella, figlia di attori, morta di droga poco dopo la fine delle riprese, che Tony Scott voleva raccontare da una vita, traducendo un pezzo di cronaca in un film buio, veloce e senza appigli. Ma anche qui l’energica Keira ha afferrato un lembo di realtà cui ispirarsi: non più se stessa ma la sua migliore amica dei tempi del liceo. Giusto per suggerire con chi abbiamo davvero a che fare.

di Silvia Di Paola