“I rapporti tra genitori e figli mi emozionano, mi toccano nel profondo, ma è l’ultimo film che faccio su questo tema, non potrei fare meglio di così”. Lo dichiara Gabriele Muccino presentando Padri e figlie, un’intensa, drammatica storia d’amore e dolore, in 400 sale italiane dal 1 ottobre e da dicembre anche negli Usa.

Malgrado abbia detto addio ai budget da 60 milioni di dollari sganciati dagli Studios per il suo primo film (La ricerca della felicità con Will Smith e suo figlio Jaden), il regista romano non ha rinunciato ad ingaggiare anche stavolta un cast stellare, zeppo di premi Oscar con in testa il “gladiatore” Russell Crowe (Jake), Jane Fonda, Octavia Spencer. Non meno bravi Amanda Seyfried (Kate), Kylie Rogers (la strepitosa interprete di Kate bambina) Aaron Paul, Diane Kruger.

Crowe interpreta Jake Davis, un romanziere di successo rimasto vedovo con Kate, l’amatissima piccola figlia da crescere e un grave disturbo neurologico che gli provoca violente crisi convulsive. Nel film si alterna il racconto di quegli anni e la vita di Kate, ormai adulta, alle prese con i demoni della sua dolorosa infanzia che la rendono incapace di instaurare una seria relazione amorosa.

“Amare significa anche incorrere nel lutto, nel conflitto, nell’inganno e nel tradimento -spiega Muccino-. Katie non sa amare perché ha un vuoto dentro che non riesce a colmare. L’amore è il motore che muove il mondo”. Il film ha diverse sottotrame, come la crisi dell’artista, che decide di mettersi a nudo, la storia della bambina orfana diventata muta alla quale Kate, come psicologa, cerca di rompere il guscio dell’incomunicabilità, primo spiraglio che le aprirà la porta verso l’amore. E c’è pure il tema attuale dell’affidamento.

“Anche se la storia non l’ho scritta io – ammette Muccino- mi ci riconosco. E’ il mio film più completo, perché impatta come un’onda crescente sul nostro subconscio, racconta la vita, la paura di amare e come ciò che ti accade nell’infanzia determinerà le tue azioni, ancora oggi mi commuovo fino alle lacrime”. Una reazione che la storia, così com’è raccontata e la bravura degli interpreti, purtroppo non scatena nei più critici spettatori, forse perché tutto troppo prevedibile, ripetitivo, forse troppo pianificato a tavolino.