Erfurt, 1507: Lutero (Joseph Fiennes) celebra la sua prima messa, già ricca di presagi. Giovane monaco agostiniano in preda a furori spirituali, Lutero viene inviato dal suo mentore, Johann von Staupitz (un ottimo Bruno Ganz), a conoscere il mondo nella Città eterna. Dove però toccherà con mano il degrado della Santa Romana Chiesa, incarnato nella avvilente pratica della vendita delle indulgenze (introdotta nel XI secolo e massicciamente diffusa sotto papa Urbano II e durante le Crociate). Ancor più confuso, Lutero viene spedito prima a studiare, e poi insegnare, teologia a Wittenberg, dove si fa subito notare per acume ed anticonformismo. Che lo porteranno, quando Leone X decide di finanziare la costruzione della nuova Basilica di S. Pietro attraverso la vendita dei ‘salvacondotti per il Paradiso’, ad affiggere sul portale del Duomo le sue famose 95 tesi.
Un atto d’accusa esplicito contro Roma, che Lutero esaspererà rifiutandosi di ritrattare le sue posizioni e decidendo di tradurre il Nuovo Testamento dal greco in tedesco, in un’edizione per il volgo. Scampato ai sicari del Vaticano grazie al suo protettore, Federico il Saggio, che ne organizza un finto rapimento all’indomani del Congresso Imperiale di Worms, Lutero assiste impotente al montare della rivolta dei contadini. I quali, credendolo morto, si danno al saccheggio e al rogo delle chiese, uccidendo barbaramente preti e fedeli. Dopo che la rivolta, anche col suo consenso, verrà sedata, lasciando sul terreno centomila vittime, Lutero sposa una suora che ha rinunciato ai voti, Katharina von Bora, scatenando la resa dei conti finale con Roma…
Chi era veramente Martin Lutero e che impatto ebbe la radicalità del suo pensiero all’interno della Chiesa e della società occidentale del XVI secolo? Sono questi gli interrogativi al centro di “Luther” che, nell’attuale ondata di pellicole a carattere religioso, vuole essere la risposta europea a “The Passion”. Affrontando la scottante materia dello scisma protestante con la stessa ottica di furente passione adottata da Mel Gibson per descrivere il calvario del Cristo. Non a caso, nell’elenco dei produttori figurano responsabili della Thrivent Financial for Luthherans. E la risposta che trovano al quesito è impressa già nel sottotitolo dell’opera, dove il monaco agostiniano è definito “genio, ribelle, liberatore”. Fatta salva questa premessa, il film è un classico ‘biopic’ impreziosito da alcune interpretazioni rimarcabili, in particolare l’ultima prova sullo schermo del compianto Peter Ustinov nei panni di Federico il Saggio, grande protettore di Lutero dagli strali di Roma e dell’imperatore Carlo V. Quest’ultimo, a dire il vero, è il personaggio più bistrattato dagli sceneggiatori (Camille Thomasson e Bart Gavigan), che lo ritraggono come un monarca potente ma totalmente in balia dei messaggeri inviati dal Vaticano. Se è complessivamente buona la prova del cast, in particolare di Bruno Ganz e Alfredo Molina, il regista Eric Till pare dilungarsi troppo sulle azioni dell’uomo, perdendo di vista il complesso delle situazioni, degli ambienti e dei rapporti di forza circostanti. Così, il suo Lutero si erge troppo schematicamente come un novello Don Chisciotte che, senza troppo crederci neanche lui, riesce ad abbattere i ‘mulini a vento’ – alias le certezze dogmatiche – del culto imposto per secoli dalla Santa Sede. Il film ha ottenuto buoni incassi e un’accoglienza positiva da parte della critica americana.

di Beatrice Nencha