“Amo i dialoghi e gli attori”. L’affermazione è del regista canadese Denys Arcand, divenuto famoso sedici anni fa per Il declino dell’impero americano, una commedia al vetriolo assai ispirata, prima pellicola del Quebec francese ad attirare folle ed attenzione nel paese natale e al di là dell’oceano. Il cineasta ritrova i suoi personaggi in questa sua ultima fatica, dopo due anni di gestazione e uno script rifinito e riscritto in modo quasi maniacale, che ha dato già i suoi frutti in termini di riconoscimenti: non solo Le invasioni barbariche ha vinto il Premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes 2003 e per la migliore attrice Marie-Josée Croze, ma è tra i film stranieri candidati ai prossimi Oscar. Arcand mette in scena una sorta di riflessione corale, intorno al capezzale di un professore universitario ammalato di cancro, sulla nostra epoca, sull’Occidente e i capi incontrastati del mondo capitalista, ovvero gli americani; con irriverente cinismo gli States diventano agli occhi di Rémy tutto ciò che non gli piace, è convinto che si sia entrati in un’epoca di barbarie e che i libri e la cultura non salveranno più il mondo, allora tanto fare gli epicurei, vivere in un perenne “cazzeggio” dell’anima, dopo aver abbracciati tutti gli “…ismi” del millennio scorso.

Insieme agli amici, Rémy ricorda di essere stato nichilista, marxista, nichilista, strutturalista per poi abbracciare da ultimo il cretinismo, e qui una stoccata pesantissima contro la politica italiana di Berlusconi, che già a Cannes suscitò un vespaio. I barbari hanno toccato il cuore dell’impero con l’11 settembre, le persone vivono nell’angoscia e nella precarietà, i figli viaggiano in un mondo senza più nazioni, avendo un passaporto e un computer portatile che li collega continuamente con gli altri simili, ma la morte accomuna tutti. Il dolore e la morte sono passaggi esistenziali obbligatori, la malattia del professore ammanta di malinconia e di tenerezza l’eterno parlottio dell’intellighenzia borghese accademica, che si compiace dei motti di spirito e delle battute argute (e di qual fattura sono in questa splendida sceneggiatura!). Gli attori sono di immensa bravura, nessuna sbavatura, un tripudio di virtuosismo, l’unico neo, a prescindere dalle qualità della pellicola, è la distribuzione prenatalizia. Riusciranno i nostri piccoli eroi pensanti a tener testa a Russell Crowe, Meg Ryan o a Boldi/De Sica?

di Vincenzo Mazzaccaro