“Il film parla di ciò che facciamo in nome dell’amore”. Lo spiega una solare e sempre affascinante Meryl Streep presentando alla Festa del Cinema di Roma Florence Foster Jenkins, una commedia buffa e triste, che parla di amore, di musica e della realizzazione dei nostri sogni, diretta da Stephen Frears, con protagonista al suo fianco Hugh Grant, nelle sale dal 22 dicembre con Lucky Red.
Nel 1944 l’ereditiera Florence Foster Jenkins, mecenate generosa, appassionata di musica classica, con l’aiuto del marito e manager inglese, intrattiene l’élite newyorkese con incredibili performance canore. Quella che sente nella sua testa come una voce meravigliosa, è per chiunque l’ascolti orribilmente stonata e ridicola, ma non saprà mai questa verità, fino a quando deciderà di esibirsi in pubblico in un vero concerto alla Carnegie Hall.

“Il film parla di ogni tipo di passione. Cantare senza passione sarebbe il peccato vero, cantare senza talento è solo un errore – spiega l’attrice -. Mi sono preparata a stonare, è stato divertente, ho fatto ridere tutti. Anche il grande compositore George Gershwin quando cantava accompagnando la sua musica era stonato, ma senza rendersene conto, come Florence. Il film è animato dal suo spirito di bambina, il senso del gioco ce l’abbiamo tutti”. La storia ha anche un sottofondo di grande tenerezza. “Parla di una relazione lunga e felice tra due persone, di un affetto reciproco reale. Da questo punto di vista la storia è piena di sentimento”.  Come Florence non legge mai le recensioni sul suo conto: “Non sai mai se ti tendono un’imboscata dolorosa, mio marito mi protegge, mente, è un atto d’amore”.
Lavorare al fianco di un “mostro sacro” come lei non deve essere facile. Anche Hug Grant le ha raccontato di aver provato paura. “Stronzate – è il suo goliardico commento -, sbaglio apposta le battute così tutti si rilassano. Sento l’obbligo di smantellare un certo edificio artificioso che mi precede sul set e inconsciamente me ne libero – spiega -, per lavorare bene ci vuole feeling reciproco, non grossi muri”.

Confessa di fare cinema con lo stesso spirito di quando ha cominciato. “Tutte le donne che interpreto hanno la stessa importanza, forse oggi mi è diminuita la memoria a breve termine ma non l’entusiasmo” . Non aspira invece alla regia: “Non ne sento la necessità, amo recitare, la soggettività, non dover avere un punto di vista più globale, è già tanto difficile immergersi in un personaggio. Ma è quello che ho sempre voluto fare, sin da bambina, sapere cosa si provava e sono rimasta così curiosa. Un’indagine più profonda nei sentimenti degli altri ti aiuta a entrare più a fondo nei tuoi, a sentirti sollevata per le tue sofferenze”.
Considera i film un’ illusione: “Ci servono per non ammazzarci. Illusione è la bellezza, è l’arte, è qualcosa che non ha tempo. Io sono pessima in tante cose, ma ho quattro figli che me lo ricordano sempre”.