Paolo Sorrentino aveva annunciato che il suo terzo film, dopo il succeso di Le conseguenze dell’amore, sarebbe stato una commedia. A voler essere sinceri questa dichiarazione, viste le immagini e le atmosfere che caratterizzano L’amico di famiglia, può lasciare perplessi e disorientati, ma avendo fiducia in colui che questa storia l’ha pensata, fotografata e rimaneggiata si scorge una sottile linea di grottesca ironia sotto il velo della mostruosità fisica e morale riprodotta. Il cinema di Sorrentino è fatto così, viaggia lungo immagini e costruzioni surreali, per poi ricondurci nei bassi fondi di un mondo che più normale e prevedibile non si può. Quasi seguendo una sua consecutio narrativa, una logica del sentimento e delle fragilità umane, anche in questo caso tutta la vicenda del laido, sudicio ed avaro strozzino Geremia de’ Geremei ripercorre i momenti di una matura solitudine che cade vittima di una gioventù fresca, inebriante ed assolutamente in vendita ( Laura Chiatti). Tra le naturali scenografie littorie di Latina e Sabaudia, all’interno di piccoli e squallidi concorsi di bellezza al pari di sagre paesane ( Miss Agro Pontino) Sorrentino realizza la fotografia di un’ umanità che, senza scomodare alti riferimenti letterari o culturali, rintraccia le sue radici nell’uomo comune, costretto consapevolmente od inconsapevolmente a nutrire miserie, preconcetti, sogni da realizzare con la messa in vendita della propria dignità.

Detta in questi termini può sembrare un ritratto un pò barocco e forzato di una realtà di confine, lontana e circoscritta, ma il regista napolentano con il suo stile asciutto, sobrio e controllato ha reso riconoscibile e condivisibile il principio stesso di mostruosità umana. Per molti versi simile a Le conseguenze dell’amore, in questo caso la vicenda abbandona i toni vagamente noir ed affida ancora una volta l’intero successo ad una rappresentazione maschile dall’incredibile forza negativa. Bisogna dire che i cast di Sorrentino hanno sempre portato a dei risultati inattesi quanto efficaci, ed in questo caso la presenza di Giacomo Rizzo, sia per le sue caratteristiche prettamente fisiche che per la sua capacità di plasmare attitudini ed atteggiamenti, ha offerto la possibilità d’incarnare uno dei peggiori e più invisibili incubi metropolitani. In un momento in cui anche un altro film attualmente in sala ( A casa nostra di Francesca Comencini) concentra la sua attenzione sulla problematica dei soldi, Sorrentino sceglie di prendere il vil denaro come un mezzo irrisorio e secondario per raccontare le evoluzioni od involuzioni dell’animo umano, per dipingere un paese che tra anziane signore patite del bingo ed un padre di famiglia pronto ad indebitarsi con uno strozzino pur di sposare la figlia, ha perso l’immagine di sè e dei suoi limiti. Il risultato è quello di un universo privo di connotazioni precise dove anche una vittima può giocare sulle debolezze del suo aguzzino in nome della sopravvivenza, costi quel che costi.

di Tiziana Morganti