Francesco Lotoro, 49enne pianista e compositore di Barletta, da oltre 20 anni, da solo, cocciutamente, raccoglie, archivia, esegue la musica composta dagli internati nei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale. La sua appassionata  ricerca è ora un bellissimo, emozionante decufilm, Maestro, diretto da Alexandre Valenti, nelle sale con Istituto Luce-Cinecittà in un’ unica uscita evento il 23 gennaio in oltre 80 sale, in occasione del Giorno della Memoria e poi con matinée e incontri per le scuole dal 27 gennaio.

Un viaggio nel tempo, per combattere l’oblio e conservare la memoria  degli uomini e delle  donne che con la loro musica hanno saputo opporsi all’annientamento. Il racconto di una storia vera e straordinaria, che parte dall’Italia e viaggia per il mondo per portare una testimonianza di semplice, pura, enorme umanità.
Un repertorio enorme, un mondo musicale in grado di rivoluzionare la storia stessa della musicologia, nonostante le condizioni disumane in cui ha preso forma, negli anni dal 1933 al 1945 ad opera di donne e uomini, artisti delle più diverse origini.

Melodie, canzoni, sinfonie, concerti, creati da ebrei, zingari, prigionieri politici, soldati e ufficiali francesi, russi, polacchi, olandesi, belgi, inglesi, italiani, e perfino militari americani bianchi e neri con i loro ritmi blues; musicisti che componevano mentre il mondo intorno a loro era una prigione, e che per la maggior parte non ne tornarono vivi.

Lotoro ha fino a oggi raccolto più di 4.000 spartiti, riportando in vita e ‘liberando’ melodie composte come atto creativo per cantare la vita in quelle fabbriche di morte, e facendole eseguire dal vivo con la sua Orchestra in teatri e sale concerti del mondo, da Roma e Milano a New York, Los Angeles, Dachau, Bruxelles, Tel Aviv e tante altre città. “Questo non è soltanto un film, ma un voluminoso libro di Storia capovolta della Musica del Novecento – sottolinea l’autore -. Un gigantesco iceberg contro il quale si spaccheranno inevitabilmente le stive di molti Titanic fatti di stereotipi e colpevole oblio di  70 anni”.