Tutto ha inizio dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan che, con le suggestioni e le vicende drammatiche della sua famiglia, ha saputo incantare e coinvolgere i fratelli Taviani tanto da portarli nuovamente dietro la macchina da presa. Dopo tre anni di difficoltà produttive e povertà di materiale documentaristico, La masseria delle allodole approda sul grande schermo dal 23 marzo con 60 copie per far rivivere in qualche modo la tragedia del genocidio che coinvolse l’intera comunità armena durante i primi anni del novecento. A questo sterminio di massa avvenuto in nome della “grande Turchia” la storia, il cinema e la letteratura non hanno mai offerto molta attenzione, tanto che i superstiti ed i loro eredi stanno ancora aspettando una giustizia ed una riconoscibilità nel ricordo. Lontani dal volersi sovrapporre agli storici e senza nessun fine documentaristico, Paolo e Vittorio Taviani si sono lasciati trasportare e conquistare dall’emozione per un passato avvolto nella nebbia dell’ignoranza, trovandosi poi coinvolti ed avvolti dalle singole tragedie vissute dai loro personaggi. ” L’occasione è stata la lettura del libro di Antonia Arslan, un romanzo particolare, una specie di indiretta autobiografia. – raccontano i Taviani – Antonia è una italiana di origine armena, e nel libro ha raccontato l’olocausto della sua famiglia. Ma come spesso è accaduto nel nostro percorso artistico, dopo aver trovato ispirazione in un autore lo salutiamo e lo ringraziamo per essere liberi di seguire le nostre fantasie. Non ci interessava creare un quadro storico, ma volevamo seguire alcune creature, i loro destini e proiettarli poi in un grande evento collettivo.” A dare corpo e voce a questa vicenda una scelta particolare e vari di attori che, per la loro multi etnia, s’ intonano ad una co-produzione firmata Spagna, Ungheria e Francia. Paz VegaAngela MolinaArsinee KhanjanMohammad BakriMoritz BleibtreuUbaldo Lo Presti ed ancora i più televisivi Yvonne SciòLinda Batista e Alessandro Preziosi. Tutti indistintamente coinvolti emotivamente da una vicenda che sembra averli toccati nel profondo.

Dopo gli immancabili complimenti ai due maestri, Paz Vega si dichiara felice di aver dato un contributo a questa storia. “Si tratta di un film molto importante per il mondo di oggi dove tutto questo continua ad accadere in altri luoghi nel silenzio dell’opinione pubblica”. Le fa eco Alessandro Preziosi. ” Quando ho incontrato i fratelli Taviani ho deciso di lasciarmi andare completamente a questa storia, fidandomi di loro. Spesso il cinema offre risoluzioni e visioni fin troppo romantiche. Ma questa volta ci troviamo di fronte ad un giudizio oggettivo del male. Da troppo tempo ormai assistiamo ad una legittimazione del male. E’ giusto che in questo caso, invece, l’eroe sia colui che fa del bene senza trovare elementi per elevare a tutti i costi l’eroe negativo.” Attori e registi hanno riscontarto tutti uguale difficoltà nel reperire documenti che li aiutassero a conoscere e comprendere non solamente lo stile di vita del popolo armeno, ma soprattutto l’orrore di cui fu vittima. Oltre alle foto delle colonne delle donne deportate realizzate da un militare tedesco a rischio della sua stessa incolumità, non sono numerosi i reperti visivi a nostra disposizione. Per realizzare una storia tangibile ed onesta nella ricostruzione ambientale come nelle atmosfere, i fratelli Taviani hanno attinto a dei testi di storia e a dei documentari ritrovati nella cineteca sovietica del 1915, ma l’esperienza più utile è stata senza meno l’incontro diretto con alcuni armeni. Alla luce di questo passato e considerando la volontà da parte della Turchia di entrare nella Comunità Europea, viene spontaneo interrogarsi sulla opportunità o meno di tale integrazione. ” Noi amiamo la Turchia, o per meglio dire, una parte di essa – specificano i Taviani – però ci sono dei passi che questo paese deve ancora compiere. In primo luogo deve pronunciarsi pubblicamente riguardo alla verità storica della tragedia armena, in secondo luogo deve cambiare una legislazione che rende ancora ammissibile la pena di morte e vieta qualsiasi libertà espressiva.”

di Tiziana Morganti