Il suo nuovo film esce nelle sale italiane

«Preferisco i lupi agli uomini pallidi di Wall Street, ne verrebbe fuori un film noioso, un film horror e io non faccio film horror». I film del regista Aki Kaurismaki puntano infatti solo sui sentimenti puri, anche quando, come in Miracolo a Le Havre, affrontano la crisi mondiale, politica e morale che ha partorito anche la questione irrisolta dei profughi.

Anche stavolta un film delicato, profondo, commovente, divertente, surreale, passato ai festival di Cannes, Locarno, Torino e dal 25 novembre nelle nostre sale distribuito dalla Bim, che affronta il dramma dell’immigrazione clandestina con la chiave, poco realistica, della fratellanza, della solidarietà. Quella di cui è intrisa la povera vita del lustrascarpe Marcel Max (Andrè Wilms) e di sua moglie Arletty, malata terminale.

Nella sua vita entra di prepotenza il piccolo Idrissa, fuggito dall’Africa, nascosto in un container. Senza retorica e senza batter ciglio, Marcel coinvolge tutti i suoi amici per dargli una mano a sfuggire alla polizia e raggiungere la madre in Inghilterra. «Non accade spesso che il cinema europeo affronti questo tema sempre più grave – dice Kaurismaki, presentando il film a Roma -. La situazione dei rifugiati insulta la mia dignità. C’è una totale indifferenza da parte delle autorità su questa situazione, anche in Italia, basta vedere quello che succede ogni estate a Lampedusa. Ho realizzato questo film non per dare soluzioni, non è questo il mio lavoro. Ma di questi tempi sembra che non sia il lavoro di nessuno. Per questo motivo il problema dell’immigrazione non ha ancora trovato una soluzione».

Ha scelto Le Havre perché, spiega, la solidarietà si trova più facilmente tra le persone povere e a Le Havre, la si incontra per le strade. «È una città abitata solo da anziani, i giovani sono tutti a Parigi a cercare lavoro, ma nonostante ciò tutti fanno musica». La crisi economica non ha influito sul suo lavoro: «Non ho mai avuto problemi a trovare i soldi per i miei film – confessa -. Mi sono sempre detto ‘smettila di lamentarti, se occorre prendi in prestito la pellicola e ruba la macchina da presa’».

Per uscire dalla crisi globale il regista finlandese ha le idee chiare: «O si va a occupare Wall Street o per noi non ci sarà futuro, nessuno ci può salvare». Tutta colpa dell’avidità umana dice, senza limiti. «Se le risorse fossero divise equamente vivremmo tutti bene. Bisogna strappare il potere alla multinazionali che ci hanno portato alla rovina». Anche la natura, sostiene, si ribella. «Gli oceani stanno morendo, consumiamo troppo, dobbiamo invertire il processo, subito».

La soluzione? «Potrebbe arrivare proprio dal terzo mondo, da quei popoli resi schiavi, a cui abbiamo rubato ogni risorsa. Non saranno certo i trattati bilaterali a risolvere le cose».