Una culla che trasuda sangue in primo piano sui manifesti non lascia dubbi sul genere scelto da Pupi Avati per il suo ambito ritorno dopo tre anni al grande schermo, il 22 agosto, con Il Signor diavolo. Un horror gotico padano, a tinte forti, diabolico e al tempo stesso poetico, che lo riporta al suo tanto amato cinema di genere, praticato con successo nei primi anni di carriera e poi abbandonato, per ragion di mercato, quando tutta l’industria della celluloide è virata verso la commedia. Per l’agognata rentrée Avati ha chiamato a raccolta alcuni tra i suoi impeccabili attori feticcio Gianni Cavina, Alessandro Haber, Lino Capolicchio, Andrea Roncato, Massimo Bonetti, con Chiara Caselli perfetta nei panni della dark lady. Perfettamente resa l’atmosfera di profonda inquietudine segnata dal soprannaturale, con la macchina da presa abilmente puntata sugli ambienti e i personaggi per deformarli.

Un viaggio tetro ma molto affascinante, perfettamente ambientato nell’ aspra bassa padana del 1952, in quell’ area emiliano-veneta contadina e polverosa, nell’acquitrinosa e superstiziosa Comacchio. La storia dichiarata quasi autobiografica dal regista (che l’ha scritta con il fratello Antonio e il figlio Tommaso), riporta a galla il cattolicesimo arcaico e bigotto dell’epoca, dominata dalla Democrazia cristiana che alla vigilia di nuove elezioni vuol chiudere ogni sbocco allo scandalo dopo un efferato delitto. Una neonata sbranata dal fratellino pazzoide focalizza le menti locali sulla presenza del demonio, bollato come vero autore del misfatto, incarnatosi in quel ragazzino deforme dai mostruosi denti di maiale. A fomentare la paura nei parrocchiani, inquietanti sacerdoti, monache e sacrestano privi di ogni barlume di cristiana carità. Per far luce sui misteriosi e cruenti omicidi che si susseguono e che potrebbero far perdere voti mettendo a rischio la vittoria del partito dominante, Roma invia un inerme funzionario ministeriale (Gabriele Lo Giudice) che non demorde nell’inseguire la verità.

“Se non raccontiamo il passato non possiamo capire il presente. E’ un film gotico perchè è presente la sacralità, un elemento dell’immaginario in cui mi sono formato” spiega Avati presentando il film a Roma, ricordando le omelie dei sacerdoti preconciliari molto minacciose sul male di quando era un chierichetto quattordicenne.  “Dalla paura è nata la mia creatività, non è semplice restare autore nel praticare un genere. Nelle valli di Comacchio sei fuori dal tempo,ho cercato ricreare le condizioni per rendere esplicita la nostra identità”. E ci è perfettamente riuscito.