Le contraddittorie dinamiche che segnano la vita sociale dell’Iran sono molto ben raccontate da Asghar Farhadi nel film Un Eroe, dal 3 gennaio nei cinema con Lucky Red. Il regista iraniano due volte premio Oscar, qui anche sceneggiatore e co-produttore, torna con una nuova storia agrodolce, di grande complessità umana ambientata nel suo paese, scritta e raccontata con lucida, piacevole semplicità, interpretata da Amir Jadidi, Mohsen Tanabandeh, Fereshteh Sadrorafaii.

Il protagonista Rahim è in prigione a causa di un debito. Approfittando di un permesso di due giorni, cerca di convincere il suo creditore a ritirare la denuncia versandogli una parte della somma dovuta. La sua fidanzata ha infatti trovato in strada una borsa con diverse monete d’oro e vorrebbe venderle per aiutarlo. Lui all’inizio accetta, poi però fa di tutto per ritrovare chi l’ ha smarrita e restituirgli quel piccolo tesoro. Un fatto che desta l’ interesse morboso dei media che lo trasformano in un simbolo di onestà, in una sorta di amatissimo eroe popolare.

“Mi è capitato spesso di leggere nei giornali storie come questa -piega Farhadi. Storie di persone comuni diventate improvvisamente famose per aver compiuto un gesto altruistico. Queste vicende hanno tutte qualcosa in comune. Il film non trae spunto da uno specifico fatto di cronaca, ma quando l’ho scritto avevo in mente questo genere di storie”.
Man mano che il film va avanti le cose si complicano, montano i dubbi su Rahim, un uomo all’ apparenza buono e sfortunato. Il suo racconto su come ha trovato quel gruzzoletto viene messo in dubbio da piccole bugie che è costretto a raccontare e tutto si tinge di giallo. Il suo inflessibile creditore continua a diffamarlo trattandolo da inaffidabile e molte persone che lo circondano, promettendogli persino un buon lavoro, pronte a credere alle voci malevole che si alzano intorno a lui sono pronte a tirarsi indietro e abbandonarlo al suo triste destino.

Una favola amara che l’autore sviluppa con maestria trascinando lo spettatore tra le pieghe di una società che può sembrare improbabile, ma non lo è. Farhadi ci mostra con questo garbato e molto piacevole film come nel suo Paese, governato da un regime fondato sulla delazione e sull’eliminazione dei nemici, regni una cultura del sospetto dalla quale nessuno sembra essere immune.