A quanto pare gli americani sembrano cominciare seriamente a considerare l’insieme delle analisi sociologiche che li vogliono pericolosamente attratti e dipendenti dalla detenzione di armi. Una preoccupazione che produttori e registi fanno propria, sembra vero, per arricchire il mercato cinematografico con ‘l’indispensabile’ presenza de Il tesoro dell’Amazzonia, ultima perla dell’action movie mascherata grossolanamente da commedia demenziale. Ed è così che tra location esotiche ed avvincenti, tanto per parafrasare il poetico linguaggio utilizzato dalla produzione nell’intento di arricchire di fascino foreste, pantani ed una miniera che sa di girone dantesco, ci troviamo faccia a faccia con il nuovo erede di una inesauribile quanto prevedibile stirpe di super eroi; The Rock esaltazione vivente della tonicità muscolare e dell’intensa incapacità espressiva di una mascella volitiva che, svestiti i panni del Re Scorpione, si cala misticamente nella misteriosa avversione che Beck, esattore di un boss di Los Angeles, nutre nei confronti delle armi. Evitando di soffermarci esageratamente sulla presenza di Sean William Scott, biondino e beloccio quanto basta per essere fotogenico e che per 103 minuti sostiene la stupidità di un personaggio che più che ilarità scatena nervosismo latentemente violento, quest’eroe dalla sfacciata esuberanza fisica non fa altro che cimentarsi in avventure rocambolesche, sempre in bilico tra un lottatore orientale alla Van Damme, un inarrestabile dannato alla Diesel, senza dimenticare il caro Rambo che di sopravvivenza all’interno di foreste pluviali se ne intendeva e non poco.

Insomma un cast degno della trama o forse un intreccio narrativo degno dei propri interpreti. Un dilemma arduo da risolvere se si riflette sulla scarsa intensità di una sceneggiatura che segna il momento di più alta tensione in una precipitosa quanto fantascientifica caduta lungo un burrone, al termine del quale qualsiasi essere umano non solo avrebbe trovato serie difficoltà a mantenersi in vita , ma avrebbe irrimediabilmente perso le sue prossime 15 reincarnazioni. Scontata, naturalmente, la completa incolumità dei nostri, dediti alla ricerca di un reperto archeologico tanto insignificante da non suscitare nemmeno l’interesse di un Indiana Jones in pensione ed un pò invecchiato. A questo punto sembrerebbe impossibile ritracciare altri elementi dalla discutibile qualità ma, per la serie non c’è mai fine al peggio, il più grande ed impietoso colpo al cuore giunge dall’assistere al percorso discendente di una stella hollywoodiana. La visione de Il cacciatore Christopher Walken che, dopo la più grande mostruosità cinematografica dell’anno 2003, Amore estremo – Tough Love, veste ora i panni tristemente incomprensibili di uno sbiadito quanto sovrappeso sfruttatore di schiavi, è realmente quanto di peggio possa accadere.

di Tiziana Morganti