“L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”. Pupi Avati sintetizza in una riflessione di Cesare Pavese sull’immortalità il senso del suo nuovo film Lei mi parla ancora, liberamente tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Sgarbi (padre di Vittorio e Elisabetta), in prima assoluta l’8 febbraio alle 21,15 su Sky Cinema e in streaming su Now Tv. Una storia intima, umana, commovente, nella quale si incontrano e confrontano epoche e generazioni diverse, esseri umani con interessi diversi, ma tutti uniti da un legame indissolubile, un amore profondo e inesauribile.
In questo film prodotto da Antonio Avati, Luigi Napoleone, Massimo Di Rocco e Vision Distribution in collaborazione con Duea Film con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, Avati ci porta in quel territorio intimo e sacro che è una grande storia d’amore, raccontandocela con delicatezza struggente attraverso l’interpretazione di un cast eccezionale con Renato Pozzetto, Fabrizio Gifuni, Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Lino Musella, Chiara Caselli, Alessandro Haber, Gioele Dix, Serena Grandi.

Un film profondo e delicato, che non arretra davanti ai sentimenti, resi quasi palpabili dall’interpretazione straordinaria di Pozzetto, che con il suo sguardo liquido restituisce alla perfezione lo sgomento del protagonista per la sua incolmabile perdita. Messo a confronto con un altrettanto efficace Gifuni, bravissimo nell’esprimere il logorio della vita moderna che attanaglia lo scrittore.
“E’ utile raccontare ai giovani come eravamo” sostiene convinto l’ottantaduenne regista emiliano, maestro soprattutto nel raccontare gli anni ’50 con i suoi film che guardano spesso indietro. Come questo, che spazia tra passato e presente per raccontare un amore straordinario, durato una vita intera. Alla morte della moglie adorata con cui ha condiviso 65 anni di matrimonio, l’anziano farmacista è convinto dalla figlia, per compensarne l’assenza, a racchiudere in un libro i dettagli della loro vicenda oggi anacronistica, affidando i suoi più intimi ricordi alla penna di un giovane scrittore dalla sensibilità tanto lontana dalla sua. Una storia al confine tra l’amore immaginato e l’amore reale, una lezione di vita tra il novecentesco signore e lo scrittore condizionato dalle crisi dell’oggi.

“E’ una storia che si fonda sull’assenza, nella convinzione che non esista chi è più presente dell’assente – spiega Avati -. L’assente della nostra storia si chiama Caterina Cavallini. A ottantanove anni, la gran parte dei quali trascorsi accanto al suo sposo Giuseppe Sgarbi, ha lasciato il mondo. Questo l’incipit del romanzo rievocativo del loro lungo matrimonio che lo stesso Sgarbi scrisse coadiuvato da Giuseppe Cesaro, un ghost writer romano. E questo è anche l’incipit del mio film che tuttavia anziché illustrare gli eventi rievocati in quelle pagine, indugia su ‘come’ quel romanzo fu scritto. Sull’incontro fra due uomini di età, cultura, visione della vita, diametralmente opposti”. “Un incontro che cambia la vita di entrambe i protagonisti – aggiunge Gifuni -, lenisce i loro dolori”.
“Leggendo il libro mi sono commosso – confida Pozzetto – il ricordo che continua a vivere per me è l’immortalità che ci permette di fare ancora programmi per il futuro, magari non troppo lontano”. “Riproporre il per sempre è mio dovere –conclude Pupi-, dobbiamo illuderci, sognare, oggi si fanno solo somme e sottrazioni. Spero che il film sia terapeutico per qualche coppia in crisi”.