Anton si aggira per le strade di Mosca con il volto coperto dal cappuccio di una tuta e un paio di occhiali scuri: sotto quello sguardo cupo e sinistro si agitano i sensi di colpa per un figlio di cui si sono perse le tracce. Il piccolo è l’Eletto, colui il quale potrà porre fine alla millenaria guerra barbarica fra le armate della Luce e quelle delle Tenebre, decidendo di volersi schierare con l’una o l’altra fazione. Nella Russia post-comunista del nuovo secolo, sotto una nuvola di corvi impazziti, nelle ombre di cantine imputridite dove si odono i fastidiosi ronzii delle zanzare, si celebra una delle più importanti e rivoluzionarie saghe di tutti i tempi, tradotta per l’occasione sul grande schermo. Dalla fantasia dello scrittore Luckyanenko strattonato da una parte e dell’altra tra chi lo considera uno Stephen King e chi lo vede come un adepto di Dostoevskij, nasce I guardiani della notte, prodotto sovietico di intrattenimento, con spunti di riflessione su tematiche universali quali: libero arbitrio, amore, morte, redenzione. Tradotto per il cinema da uno dei tanti discepoli di Roger Corman, questo film ha tutte le caratteristiche per essere un’operazione curiosa: scene d’azione tra architetture fatiscenti e inseguimenti ultramoderni, lampi di illuminazione da tragedia, citazioni sparse un po’ ovunque (dall’eleganza di Ejzenstejn alla follia visionaria di Jackson) e una completezza narrativa che non lascia pensare ad alcun seguito, anche se sono già in cantiere gli altri due capitoli I guardiani del giorno e I guardiani del crepuscolo.

Il look è quello di sempre in cui non si fa fatica a distinguere, tra la confusione di esseri umani e non, le ombre di Blade e MatrixIl Signore degli Anelli (qualcuno ha menzionato anche un certo stile alla Tarantino); si potrebbero tirare fuori dalle teche anche gli incantesimi di Ladyhawke o sotto il profilo squisitamente narrativo (di genere) le felici intuizioni di autori contemporanei: Kim Newman, ad esempio, con il suo Anno Dracula (nella disperata ricerca – astinenza da vampiro) o una certa tradizione mitologica innovativa alla Neil Gaiman. A questo va però aggiunto un certo spirito di conservazione intimista, tipicamente sovietico, come la scelta di voler includere nel copione una sottotrama da melodramma familiare, al fine di rendere più emozionate l’Episodio 1. Ora i difetti: Night Watch trova, in alcuni momenti, il consenso dello spettatore complice del gioco di luci e rumori frastornanti messo in piedi, come un’ inquietante giostra dai colori aciduli dal direttore della fotografia Trofimov, dal compositore Poteyenko e dal montatore Kiselev, ma in buona sostanza il meccanismo complesso e filosofico del soggetto, unito a certe smanie d’autore del giovane Bekmambetov, rendono le quasi due ore di visione alquanto faticose e difficili da digerire. D’altra parte se è vero che la fantasia è uno dei livelli della realtà, come ha superbamente appreso Tolkien nel suo capolavoro senza tempo, inventando un sistema lontano ispirato al presente, anche qui gli autori dello spaccato apocalittico devono aver avuto non pochi problemi a identificare una razza indipendente priva di vincoli con una comunità fondata invece sul senso morale.

di Ilario Pieri