Un caleidoscopio di emozioni questa nuova opera del maestro cinese Zhang Yimou, pluripremiato per i suoi film di rara bellezza. Il lungometraggio più costoso della storia del cinema cinese, lasciato a maturare per ben due anni, è un saggio sull’arte, intesa in senso esteso come espressione di libertà, una teoria valorizzata attraverso “tavole pittoriche in movimento”, in un paradosso estetico a metà strada tra il pacifismo e la necessità. L’espediente narrativo si rifà agli eventi che, nel III Secolo a.C., hanno reso la Cina una terra vasta come noi la conosciamo. Dal Periodo degli Stati Guerrieri alla riunificazione dei Sette Regni (dal 475 al 221 a.C.), tra cui il più potente, quello di Qin, possedeva un esercito inarrestabile. Volteggi in stile La tigre e il dragone, immagini così belle e curate, quasi dipinti in movimento, fanno di Hero un’opera di gran pregio, dotata di una veste digitale che non fa che arricchirla. L’Arte Marziale, fortemente presente in Hero, trascende l’apparente violenza per esprimere la sua vera essenza. Essa, ci dice il protagonista interpretato da un supremo Jet Li, “diviene come la musica, la ricerca di uno stato di consapevolezza superiore”. Nulla di questa pellicola è lasciato al caso, come i sublimi movimenti dell’eroe “Senza Nome” (Jet Li) impegnato a pure battaglie di pensieri con i suoi avversari, prima del vero e proprio scontro fisico. Insegna la disciplina del Budo, tra i più antichi dettami d’Oriente, che “Il combattimento inizia al momento in cui percepiamo la presenza aggressiva dell’avversario e termina all’inizio del primo movimento“.

‘L’arte di combattere senza combattere’ è quella che un’artista marziale ricerca per un’intera vita, a volte senza carpirne l’essenza, ed è quella che guida il pensiero di “Spada Spezzata” prima e di “Senza Nome” poi, entrambi uniti nella consapevolezza e nella necessità di ‘risparmiare’ il loro nemico. Il primo giunge alla sapienza attraverso l’uso di un’altra arte, la scrittura. “Esistono 18 modi diversi di scrivere la parola ‘spada’ in cinese – afferma “Senza Nome” – Io gli ho chiesto la diciannovesima“. L’arte dunque come elevazione dello spirito oltre i confini naturali, ma anche unico veicolo di libertà dagli oscuri tentacoli della tirannia. La caratteristica peculiare dell’esperienza estetica secondo Kant, è l’affermazione che “la natura era bella quando aveva l’apparenza dell’arte; e l’arte può dirsi bella solo quando, pur essendo consapevoli che si tratta d’arte, ci appare come natura“. Ecco dunque la necessità di un quinto protagonista, una terra meravigliosa e variopinta, l’opera di un artista supremo, cui l’artista marziale attinge la sua forza e la sua bellezza. Indimenticabile il duello sul lago di “Senza Nome” e “Spada Spezzata”, i cui piedi sfiorano soltanto l’acqua prima di librarsi in cielo, intingendo la loro lama nell’acqua come un pittore farebbe con il suo pennello.

L’opera di Zhang Yimou si muove nel suo percorso critico come un oggetto di un sapere in cui pensare e conoscere hanno la stessa estensione, in uno spazio in cui il tempo si dilata in funzione del movimento dell’attesa (la negazione del movimento stesso attraverso la sua iperbolica accelerazione), eredità compresa e reinterpretata nel preziosissimo Kill Bill – Vol.1. Yimou costruisce dunque le sue scenografie “totali” nella speranza di potersi imbattere in un oggetto artistico che, nel pensarlo per il piacere che ci suscita, venga anche compreso, così per chi lo fa, come per chi lo fruisce. Ecco dunque che il regista, dopo essersi dedicato a temi quali la politica (Lanterne Rosse), i rapporti umani (Ju-Dou) e la riflessione (La strada verso casa) si dedica allo “Stato dell’Arte”, ad un’indagine epistemiologica sulla creazione, come atto umano misconoscibile ma intuibile, la quintessenza della divinità.

di Alessio Sperati