Esce il nuovo film di Salvatores incentrato sulle imperfezioni della nuova borghesia italiana

Gabriele Salvatores dedica il suo nuovo film a chi ha paura. Paura di essere felice, di cambiare la propria vita con una realtà ignota, di desiderare troppo, di essere nessuno. Happy Family, nelle sale dal 26 marzo, parla, come tanti recenti film, dei tic, vizi e virtù degli italiani di ogni ceto ed età. Ma lo fa in maniera originale, con una sceneggiatura, un cast e una regia eccellenti, ondeggiando di continuo tra realtà e finzione. Una succosa commedia all’italiana che di sicuro ridarà fiato all’asfittico cinema nostrano, ironica e cinica, con atmosfere anni ’60 sottolineate dalla colonna sonora firmata Simon & Garfunkel (la seconda dopo Il Laureato).

Un film estremamente divertente, soprattutto quando attacca con pignola cattiveria brutture e imperfezioni dei protagonisti della storia, ovvero di tutti noi. Insomma, una commedia che racconta la vita come se fosse un film, ma anche un film che racconta la vita come una commedia. Al centro due famiglie di diversa estrazione sociale (il ricco e snob avvocato Fabrizio Bentivoglio con la moglie Margherita Buy e l’eccentrico Diego Abatantuono sposato con Carla Signoris) che si incontrano quando i rispettivi figli sedicenni decidono di sposarsi. Un microcosmo in cui i genitori appaiono saggi ma anche più sballati dei figli, le mamme nevrotiche e coraggiose, le nonne inevitabilmente svampite. A legare i fili della storia uno scrittore di film improvvisato (Fabio De Luigi) che per un banale incidente viene catapultato tra i protagonisti di questa reale e surreale realtà.

Salvatores ha visto in teatro la pièce di Alessandro Genovese e ne è rimasto inevitabilmente affascinato. Lo ha convinto anche la prima stesura della sceneggiatura, finalista al premio Solinas, alla quale poi ha rimesso mano con l’autore per adattarla al suo stile e dar vita al suo ennesimo film, prodotto da Colorado Film con RaiCinema con poco meno di 6 milioni di euro (e già offerte dall’estero per farne addirittura un remake) che 01 distribuirà in 300 sale. A vent’anni da Marrakesh Express il regista ha ricomposto l’esilarante coppia Abatantuono – Bentivoglio che in una scena del film non perde l’occasione di fare un gustoso riferimento a quel primo incontro sul set.

Le note cromatiche scandiscono le scene del film (il verde la passione, il giallo l’incidente…). «Volevo staccarmi dal realistico – spiega Salvatores -, per questo ho ripreso Milano sempre dal basso e ho usato i colori per distaccare la storia dai toni televisivi. C’è pure un ormai rarissimo happy-end che di questi tempi sembra non arrivare mai: è come aver rievocato un fantasma, ma la felicità è un nostro diritto, a volte ce la neghiamo noi ma poi gli altri ci mettono il carico». «Nel film c’è una tripla finzione – spiega Genovese -, puoi credere a ciò che vedi ma che in realtà è tutto finto, la sfida era rendere credibile una storia così».

E lui c’è ampiamente riuscito, rendendo i personaggi tridimensionali, coi loro problemi fobici, le loro paure che si rifanno alla realtà. «Vivo in un’epoca in cui tutto è stato inventato – spiega l’autore -, io cerco di trasformare le cose in attesa di inventare io qualcosa di nuovo». Anche Salvatores si sente uno sperimentatore: «Mi sarebbe piaciuto fare questo film in 3D, stile Avatar, l’animazione ormai è in tutto, ma per me gli attori sono fondamentali nei miei film, li metto sempre al centro». Questo film invita a mischiarsi con chi è diverso da noi, trovarci un amico, un compagno di giochi. E a fare i conti con la paura. «È la molla che mi spinge a fare – spiega il geniale Genovese -, la contrappongo alla noia, è un sentimento che può stare davanti agli altri, è un grosso motore dell’umanità». «La paura è sempre stata usata dai poteri forti per impedire alla gente di vivere – aggiunge Salvatores -, oggi ne siamo pieni». Pieni di paure e di bugie: «Il cinema è come il mare che può contenere tutto ma non può dire bugie – aggiunge il regista -, e oggi se ne dicono troppe».