Quanti talenti sprecati in questo psico-horror dalle grandi pretese. Il premio Oscar Halle Berry e Penelope Cruz sono solo due tra le vere vittime di un’ empasse produttiva della Dark Castle. Questa casa di produzione fondata nel 1999 da Joel Silver e Robert Zemeckis per creare degli horror a medio budget da far distribuire alla Warner Bros. durante il periodo di Halloween, ha fatto più di quanto ci si aspettasse. Il mistero della casa sulla collinaI 13 spettriGhost Ship – La nave fantasma, non saranno dei capolavori di stile, ma qualcosa di innovativo lo hanno portato ad un genere che ad Hollywood era già morto e sepolto. I forti incassi dei primi due fecero gridare al miracolo, ma quando Ghost Ship – La nave fantasma si scontrò con il ben più particolare The Ring, si decise una sorta di rinnovamento interno: il primo incassò infatti 30 milioni di dollari, il secondo arrivò al ben più alto traguardo di 128. A tavolino i vertici decisero che per il film seguente sarebbe servita nuova linfa, nuove idee e nuove menti che lo realizzassero: ed ecco arrivare un esercito multietnico a comporre una sorta di “Enterprise” creativa con Sebastian Gutierrez (spagnolo) alla penna, Kassovitz (francese) alla regia, Graham “Grace” Walker (australiano) alle scenografie e Matthew Libatique (canadese) a riprendere il tutto. Il risultato? Un ibrido che non ha nulla a che vedere con le precedenti produzioni, ma che non dice nemmeno qualcosa di nuovo. La trama ci potrebbe anche stare e la storia coinvolge per un buon tratto, pur con l’iniziale sforzo comprensivo dato dal “salto temporale” in seguito al quale Miranda Grey si trova rinchiusa nel suo stesso manicomio. Gli strappi di montaggio rendono infatti a volte farraginosa una trama già di per sé contorta, indisponendo lo spettatore. Ebbene la situazione va poi crollando letteralmente dalla seconda metà quando tutto il soprannaturale si va letteralmente sciogliendo e dipanando dietro una banalissima contingenza delittuosa. Ci si sente un po’ come dopo aver vissuto intensamente i 192 minuti di IT di Wallace per poi venir puniti dalla visione di quattro persone che spolpano un ragnone gigante. Anche dal punto di vista degli effetti visivi, vera innovazione dei remake Dark Castle rispetto agli originali degli anni ’50, Kassovitz si è voluto limitare al minimo indispensabile, per un prodotto usa e getta.

di Alessio Sperati