Dal 30 gennaio nei cinema di tutta Italia

“La sceneggiatura di questo film ha le zanne. E io sono stato azzannato”. Lo confida Matthew McConaughey presentando a Roma la pellicola-capolavoro Dallas Buyers Club, sua prima e meritata candidatura all’Oscar, diretto da Jean Marc Valée, con Jennifer Garner e Jared Leto, nelle nostre sale dal 30 gennaio distribuito dalla Good films dei fratelli Ginevra e Lapo Elkann.

L’attore si è battuto caparbiamente per realizzare questo film bello e duro, ispirato alla lotta per la sopravvivenza di un malato di Aids terminale degli anni ’80. Una sceneggiatura che dopo esser passata per vent’anni da un cassetto all’altro e aver collezionato ben 137 bocciature, cinque anni orsono è arrivata nelle sue mani e lui non l’ha più mollata, innescando una lunga caccia al produttore e ai soldi necessari per trasformarla in film. Soldi che, una volta travati, sono spariti a cinque settimane dall’inizio delle riprese.
Lui però da buon texano è andato avanti a testa bassa (anche perché nel frattempo aveva faticosamente perso una ventina di chili per calarsi meglio nel personaggio) determinato come non mai a realizzare il progetto che ha dato una svolta qualitativa alla sua carriera,  mettendolo, dopo una quarantina di film, finalmente in gara per conquistare la più ambita statuetta del cinema mondiale.

Matthew risponde per più di un’ ora alle domande dei giornalisti sul film e sul suo personaggio, Ron Woodroof, un ruvido e sregolato cowboy da rodeo che scopre di essere sieropositivo, cui restano solo trenta giorni di vita. Lui però rifiuta questa sentenza di morte, rifiuta le uniche cure disponibili perché parecchio tossiche, scopre terapie alternative non approvate dal ministero e le esporta di contrabbando dal Messico. Coinvolge nel suo progetto la dottoressa Eve Saks (Jennifer Garner) e con un altro malato terminale di Aids (Jared Leto), per evitare sanzioni governative dovute alla vendita non autorizzata di farmaci, fonda un “buyers club”, un ufficio acquisti clandestino per sieropositivi che pagano quote mensili per avere accesso alle cure.
Come un cavaliere solitario Ron si battè per la dignità, l’informazione e l’accettazione. Morì a seguito delle complicazioni dovute all’Aids nel settembre 1992. Erano passati sette anni da quando lo avevano dato per spacciato.

Quando McConaughey lesse questa storia incredibilmente umana, ma senza sentimentalismi, decise. “Non ho mai letto un copione che affronta la questione da questo punto di vista – pensò-. Ron era un americano purosangue, ha agitato le acque, ha fatto rumore. Voglio che la sua storia sia raccontata”.
Superati i problemi economici,  la sfida più difficile per l’attore è stata rappresentare un personaggio con tanta rabbia dentro. “Ron lotta per vivere, contro i medici, contro l’FBI, dovevo rappresentare le tante sfumature della sua rabbia da differenti angolature – spiega -. Ultimamente le mie scelte dei ruoli sono cambiate, le buone idee arrivano. Quattro anni fa ero soddisfatto ma sentivo di volere qualcosa di più di una vita eccitante. Ho dato una scossa alla mia carriera, cercavo un ruolo che mi spaventasse, mi facesse mancare il terreno sotto i piedi. Ho rifiutato film di azione, commedie romantiche, le offerte poi si sono fermate. Nel frattempo è nato il mio primo figlio, i soldi per vivere ci bastavano, ho fatto il papà a tempo pieno. La famiglia è importante, più ti fa sentire sicuro più puoi volare alto”. E lui ha spiccato davvero un gran volo: ha chiuso la sua società cinematografica per fare solo l’attore. Ha perso 23 kili in quattro mesi, seguito da un medico, evitando feste e ristoranti. “Tanto perdevo potenza nel fisico e tanta ne acquistavo nella testa, la potenza era sublimata dalla mia mente” racconta. Un film che ti resta attaccato alla pelle,  assolutamente da non perdere, girato in soli 25 giorni,  è costato solo 5 milioni di dollari, di cui Matt è particolarmente orgoglioso. Non aspetta la notte degli Oscar con ansia. “Sto girando l’Europa per condividere col pubblico questo lavoro. Non è promozione – precisa -, il film parla da solo”.

Ed è attualissimo, in tempi in cui le cure alternative sono nell’occhio del ciclone delle cronache. “In America negli anni ’80 non si sapeva come affrontare patologie come l’Hiv, le cure non erano in cima alle priorità. Ron ha risvegliato le coscienze. Ha perso la causa contro lo stato ma ha sollevato la polvere e lo studio è andato avanti. Le cure alternative sono insidiose, se una vita sta finendo perché impedirle? Ma quando la medicina si scontra col business ci sono sempre zone oscure”.
Un film che servirà ai giovani, che non hanno idea di come si affrontava il problema Aids in quegli anni. “Da allora si è fatta molta strada – ammette Matthew -, se ne parla senza vergogna, senza venire isolati”.
Cosa gli è rimasto del personaggio? “La lezione di vita di Ron è che se vuoi qualcosa devi fartela da solo”.