Ferzan Ozpetek chiede ai suoi fedeli spettatori uno sforzo in più: non solo ammirazione e consenso, ma il conforto di una risposta impossibile. Sembra chiedere: «Io vi amo uno ad uno e voi ricambiate?». Il suo dolore dovrebbe essere il nostro, i suoi lutti privati pure, come la condivisione di un mondo orrendo dove il profitto e il guadagno rapace sono l’unico simbolo riconosciuto a scapito della carità e di un generico umanesimo. Cuore sacro è più di un film, è una fede che puoi cinicamente rigettare o accettare passivamente, la tiepida incursione critica di chi scantona per pensare ad altro parrebbe il massimo della cialtroneria. Ci sarà dunque un gruppo di fanatici del turco-romano senza ideologia politica, laici per definizione ma fulminati da ogni atto “sregolato”, che hanno buttato la televisione dal balcone, perché nessuna confessione intima sciorinata in un qualsiasi talk show può reggere il confronto con la purezza di intenti del Maestro. Vedremo. Stranamente la manager Irene Ravelli risulta simpatica nella sua doppia veste sia di donna in carriera che svolazza in ambienti iperrealisti sia di pazza fulminata capace di denudarsi nella stazione metropolitana Anagnina, periferia vera di una capitale ammutolita.

Invece nelle vesti di santa del nuovo millennio, che porta pacchi di generi alimentari agli abitanti storici del Rione Monti, nel “core de Roma”, Irene Ravelli proprio non va giù. Forse alcuni, senza dirlo, si metteranno dalla parte della zia Eleonora, lei veramente umana, perché abbrutita dal denaro e fiera di indossare abiti esclusivi, che non prova la pelosa vergogna di chi si affaccia da un palazzo bellissimo, come la nipote, e forse annoiata da troppi briefing scopre che i gabbiani ancora cantano ed ingrassano e sporcano le vie di una città crudele e magnifica. La vergogna non esibita, quella che fa ingozzare di psicofarmaci, ma mai messa a nudo, a costo di passare sulle disgrazie dei nuovi poveri ed anche dei vecchi, quelli per cui l’inflazione non ha tolto il cinema, ma ha aumentato i pignoramenti, con una sventata leggerezza (e la zia Lisa Gastoni è impareggiabile e assolutamente amabile rispetto ad una Barbora Bobulova intensa, troppo preoccupata, però, di stare dritta su tacchi di gran fattura anche nelle sue crisi mistiche). Lasciamo stare, suvvia, questo profluvio di emozioni, e in quanto a citazioni filmiche Rossellini è lontano e pure Pasolini non lo si può sempre riesumare di fronte a sequenze smaccatamente iconografiche. Un regista come Ozpetek vive sul crinale del “sentimento vs. sentimentalismo”, e nonostante la sua onestà di artigiano della settima arte e la sua profonda dignità, rappresenta in pieno il profeta fiction dell’omologazione dei nostri tempi. Troppo sincero, accorato, addolorato, il suo film ha un cuore di troppo, e una verità di meno.

di Vincenzo Mazzaccaro