Caterina e la sua innocenza. Specchio di fragilità, solitudine e silenziose riflessioni. Accettazione timorosa di una nuova realtà. Oppressivo e scomodo contenitore all’interno del quale si dibattono adulti infelici, dall’imbarazzante invadenza. Spettatrice della vorticosa realtà sociale di una città divisa tra le frustrazioni familiari e l’impegno sociale di una sinistra intellettualoide e l’indifferente benessere di una destra festaiola e solitaria. Ma soprattutto forza. Dall’ inaspettate solide fondamenta per trovare quell’appiglio utile, essenziale per poter sopravvivere alle lusinghe di un’ adolescenza negata, spesa via troppo in fretta. Ed ancora ironia, comicità. Perchè Caterina è un personaggio aperto e stupito. Travolta, sospinta dagli eventi e dalle necessità di coloro che si nutrono del suo candore. Un giorno “zecca”, l’altro novella Jennifer Lopez, ma mai veramente e profondamente contaminata al punto di rimanere irrimediabilmente sconvolta dalle incongruenze sociali e culturali di una città come Roma. Paolo Virzì e Francesco Bruni realizzano, probabilmente, il loro film più umanamente e socialmente completo, narrando e costruendo la realistica coreografia di un paese preso alla sprovvista da un’ improvvisa velocità degli eventi, attraverso il faticoso e speranzoso cammino della famiglia Iacovone, divisa tra la semplicità provinciale delle loro origini ed il desiderio di un riscatto sociale. Affidano alla fragilità fisica ed interiore di una ragazzina di tredici anni il compito ed il ruolo di strumento di rifrazione, di osservazione e diffusione, ma mai di giudizio.

La fantomatica divisione tra destra e sinistra è meno fondamentale e determinante dal punto di vista narrativo che non in Ferie d’agosto. Raccontata, dipinta e rappresentata non tanto nella sua universalità, ma nel particolare cittadino. Se Caterina va in cittàpresenta una tematica politica non è per creare polemiche e dibattiti sul giusto e sullo sbagliato, sui torti e le ragioni di una fazione rispetto ad un altra. Non ci sono dei buoni costretti a combattere contro dei fantomatici cattivi. Tutto si trasforma in scenografia, palcoscenico, situazioni di vita che hanno il compito di rappresentare l’umana, dolorosa natura di coloro che sono palesemente vinti e dei vincitori che raccolgono le loro private sconfitte. E Caterina continua ad essere spettatrice di tutto questo. Centro intorno al quale si palesano le affannose insicurezze di una madre “invisibile” (Margherita Buy) e di un padre (Sergio Castellitto) affetto da evidente bisogno di visibilità. Certo il rischio è quello di cadere in schemi stilistici e narrativi perfettamente riconoscibili nella filmografia di Virzì, come la dissoluzione del nucleo familiare e la contrapposizione delle fazioni politiche. Ma in questo caso il grande respiro umano imposto alla vicenda dagli autori e regalato da attori così ben amalgamati con i loro personaggi, fugano ogni dubbio, riuscendo nell’incredibile scoperta di un altrove. Un luogo dove la destra e la sinistra sono solo parole prive di un reale significato storico, raggiungibile attraverso la rassicurante armonia della musica polifonica ascoltata in cuffia, capace di rendere la solitudine del cuore più accettabile e digeribile.

di Tiziana Morganti