In attesa del doppio film di Sorrentino, a ricordarci avventure e disavventure dell’ex Cavaliere e dei vari similrampanti finanzieri finiti dal quartierino alle stelle e poi alle stalle, ci pensa Daniele Luchetti con Io Sono Tempesta, con Marco Giallini, Elio Germano, Eleonora Danco, nelle sale dal 12 aprile con 01. Protagonista di questa godibilissima, agrodolce farsa sociale sul potere del denaro, che occhieggia ma poi si distacca dai fatti di cronaca, è l’imprenditore Numa Tempesta, arricchitosi all’inverosimile non si sa bene come, che condannato per frode fiscale finisce ai servizi sociali in un centro di prima accoglienza per senzatetto. Qui si troverà a gestire un esercito di diseredati di ogni sesso e età che, dopo un iniziale smarrimento, avvierà per opportunismo verso un percorso di rinascita, costellato all’apparenza di buoni sentimenti e amicizia, mischiando però le carte tra buoni e cattivi.
Come dimostrato ampiamente in passato, il cinquantottenne regista romano è riuscito anche stavolta a confeziona un tagliente affresco tragicomico dal tono apparentemente realistico, degno della miglior commedia all’italiana, di cui tanto si sente la mancanza. Azzeccatissima anche la scelta del cast, che mescola attori presi dalla strada a professionisti collaudati come Germano, Danco e Giallini, sul quale ha cucito addosso il ruolo del furbo e ruvido imprenditore truffaldino. Il film suscita parecchie risate, spesso dal sapore amaro, lanciando uno spunto di riflessione sul tema attualissimo del potere del denaro e del crescente squilibrio sociale che attanaglia il nostro paese.
La storia, pensata anni orsono con Sandro Petraglia e Giulia Calenda, prende spunto da alcuni fatti di cronaca politica ben noti. Ma dopo aver esplorato l’esperienza berlusconiana gli autori hanno allargato il tiro al modello di un capitalista contemporaneo anaffettivo e cialtrone, dilagante non solo in Europa. Hanno dunque messo a confronto il classico carismatico cattivo, qui rappresentato dal cinico speculatore senza scrupoli e un gran fiuto per gli affari, con una serie di poveri, buoni per definizione, ma forse corruttibili, sui quali il denaro ha un’influenza decisiva, raccontando con tono serioso una fetta di Italia che il nostro cinema affronta sempre con dolore. Un incontro-scontro tra due mondi all’apparenza diametralmente opposti in un originale e ben riuscito tentativo di livellamento tra classi sociali e princìpi.