Non convince la nuova commedia di Bruno, in sala dal 25 ottobre

Michele Placido, Alessandro Gassman, Raoul Bova, Ambra Angiolini, Edoardo Leo, Rocco Papaleo, Maurizio Mattioli, Rolando Ravello, Imma Piro, Camilla Filippi, Sarah Felberbaum i protagonisti di questo film. 550 copie di W l’Italia annunciate dai produttori Fulvio e Federica Lucisano. Cast roboante e distribuzione a tappeto dal 25 ottobre, non bastano a salvare l’ennesimo scadente prodotto che concorre all’assassinio della commedia all’italiana.

Neppure Massimiliano Bruno, dopo il felice esordio con Nessuno mi può giudicare, è riuscito nell’impresa, ormai quasi impossibile ai più, di sfornare una commedia intelligente e divertente, che faccia tornar la voglia di andare al cinema. Il film dovrebbe far sorridere, con amarezza, sulla becera attualità che sta devastando per mano dei politici la nostra patria. Originale l’idea di trasformare un politico truffaldino (Placido) in uno che, dopo un malore durante una maratona sessuale con un’aspirante star, persi i freni inibitori, dice solo la verità, scatenando ire e sconforto tra familiari e compagni di partito che, inutile dirlo, per salvare la faccia non ci penseranno due volte a scaricarlo. Facendo perdere i privilegi acquisti ai figli incapaci del senatore: un inetto dirigente in carriera (Gassman) e un’aspirante attrice con vistoso difetto di pronuncia (Ambra).

Ci si aspetta dunque di ridere, ma accade solo a un paio di battute, non certo quelle più volgari e gratuite, degne dei peggiori cinepanettoni, che il regista pensava andassero a segno perché, sostiene, «Era necessario raccontare le volgarità di questo Paese che creano un effetto di comicità involontaria, tra ragazze vestite da schiave e maiali al guinzaglio». Spiega che nel film «L’assoluzione non c’è per nessuno». Tantomeno per lui, giovane attore-regista che ci aveva illuso nella possibile ripresa di un genere che, con Monicelli, Scola, Risi, ha fatto la storia del nostro cinema, e che ora i nuovi o seminuovi registi, ce la stanno mettendo tutta per cancellare.

Buona era anche l’idea di aprire i capitoli del film leggendo gli articoli della nostra bistrattata Costituzione, a cominciare dal N.1, che promette una Repubblica fondata sul lavoro, dove la sovranità appartiene al popolo! Utopie frantumate dalla dura attualità. Bruno spiega che «Bisogna cominciare a proporre una possibilità di cambiamento. Questo è il motivo per cui ho fatto il film». Che finisce con una sorta di comizio fiume del senatore, che in questo tempestoso periodo preelettorale, certamente a qualcuno pronto a ricandidarsi non dispiacerà scopiazzare.

Il regista invita a prenderci la responsabilità di informarci meglio su chi andremo a votare. Giusto! Placido, dal canto suo, ci fa sapere che è «Un meridionale un po’ democratico, un po’ mediocre, che subisce il fascino dei politici» Casini compreso. E annuncia che alle prossime elezioni farà politica anche se, ammette, «Non so con chi». Bruno invece attacca Grillo: «Non condivido la sua violenza verbale, non è un buon veicolo per la democrazia». Dovrebbe esserlo il suo film? Stendiamo un velo pietoso…