Un’ora sola, o poco meno. Un gesto liberatorio, quello di una figlia che cerca di comprendere perché la madre si sia tolta la vita all’età di trentatré anni. Per farlo apre l’armadio del nonno e scartabella tra vecchi filmati in Super 8, diari, lettere, fotografie. È il lavoro della documentarista e aiuto-regista Alina Marazzi e il suo racconto per immagini ripercorre la vita di sua madre, Liseli Hoepli, figlia di Ulrico Hoepli, noto editore e proprietario dell’omonima libreria di Milano. Il documentario, arricchito dal magistrale montaggio di Ilaria Fraioli, parte con una licenza poetica, una lettera mai scritta di Liseli: «In tutto questo tempo nessuno ti ha mai parlato di me. Di chi ero, di come ho vissuto, di come me ne sono andata. Voglio raccontarti la mia storia adesso che è passato così tanto tempo da quando sono morta».

Una scarica di sentimenti investe lo spettatore che ritrova una famiglia, divisa dalla vita e dalla morte, finalmente riunita dalla magia dell’arte, dal lavoro inconsapevole del nonno, dalla presenza scenica e innocente della madre e dalla selezione appassionata e commossa della figlia che afferma: «Il primo volto che vediamo quando veniamo al mondo è quello di nostra madre. Il film è la ricostruzione della mia personale ricerca del volto di mia madre, un tentativo di ridarle vita anche se solo sullo schermo. Ho la fortuna di poterla vedere muoversi, ridere, correre, nascere, imparare a camminare, sposarsi…». Peccato che andare a trovare questo film in una sala cinematografica sia impresa accomunabile alla meticolosa ricerca della sua regista; così come My Architect, dedicato all’architetto Louis Kahn e girato dal figlio Nathaniel, Un’ora sola ti vorrei resta un’operazione cinematografica d’elite, la cui importanza è già stata riconosciuta con una decina di premi in tutto il mondo.

di Alessio Sperati