Il selvaggio, violento, epico west americano teatro del feroce scontro tra bianchi e pellirosse, è lo scenario scelto dal regista Scott Cooper per parlare delle intolleranze di ieri e di oggi verso chi è diverso per razza, religione, orientamento sessuale. Il suo film, Hostiles, con i bravissimi Christian Bale, Rosamund Pike e Wes Studi, ha aperto la Festa del Cinema di Roma con questo tema, mai come ora di attualità in ogni angolo del mondo. Dai recenti sconcertanti episodi di antisemitismo nell’ Università della Virginia, dove il regista vive con la famiglia, a quelli inqualificabili esibiti nei nostri stadi, agli attentati, alle minacce nucleari, alla gente comune sempre più insofferente verso le minoranze.

Cooper voleva da sempre fare un western. “Ma volevo che testimoniasse quanto sta accadendo oggi in America, che sta vivendo, soprattutto dopo le ultime elezioni, una spaccatura razziale molto forte – spiega, presentando il film con due dei protagonisti-. Volevo aprire un dibattito sull’inclusione, la riconciliazione, la necessità di risanare le ferite tra culture diverse”. Significativa dunque la frase di D.H.Lawrence che ha messo in testa alla pellicola: “Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai fusa”.

Lontano dagli abusati stereotipi dei tradizionali western, il film riflette un ethos senza tempo, con una sceneggiatura rilevante per il clima sociale e politico di oggi. Ambientato nel 1892, racconta la storia di un leggendario capitano dell’esercito americano profondamente segnato dalla dura lotta contro i nemici pellerossa che ha massacrato e gli hanno massacrato uomini e amici e di un capo Cheyenne, da anni prigioniero dell’esercito con la famiglia, che minato da un cancro vuol andare a morire nella sua terra. Il capitano dovrà scortarli, assai riluttante ma costretto, dal fortino nel New Messico al lontanissimo Montana, tra mille peripezie, agguati, morti. A loro si unirà una giovane vedova che ha appena visto feroci Comanche sterminare la sua famiglia.  Improbabili compagni di viaggio, tutti combattenti tenaci, forgiati dalla sofferenza, dalla violenza e dalla perdita, costretti per sopravvivere ad affrontare i propri pregiudizi. La loro trasformazione diventa la testimonianza della resilienza dello spirito umano e della sua capacità di cambiamento.

“La mia condizione di nativo è lo specchio del processo di adattamento al mondo in cui viviamo – commenta Wes Studi che nel film è il vecchio capo indiano morente -. In quegli anni l’esercito perseguitava noi, poi ci furono i vietnamiti, mi ci sono molto identificato. I terroristi interni all’America fanno più danno di certi politici stranieri, l’industria militare cresce per motivi economici, sul futuro sono piuttosto pessimista”.
“Ho cercato di capire come si può dopo tanta sofferenza trovare un motivo per vivere – spiega Rosamund Pike, la vedova del film -. Lei è la controparte del protagonista, colui che la fa uscire dal vicolo buio, la sua forza viene non scimmiottando gli uomini ma da una nuova maturità, dalla sua crescita”.
“Nel film c’è un percorso dell’anima – continua Cooper -, condividere il dolore alla fine ripara, riconcilia. Nel mondo possiamo impegnarci di più per comprendere gli altri, se ascoltassimo i diversi da noi capiremmo più cose di noi. Se si continua in questa direzione le difficoltà saranno enormi, speriamo che non sia questo il nostro futuro”.