Roberto Faenza era convinto di fare un film sul passato, invece era purtroppo d’attualità. Hill of Vision, nelle sale dal 16 giugno, che ha diretto e sceneggiato con David Gleeson, mostra la solitaria fuga di un ragazzino dagli orrori della seconda guerra mondiale. Triste sorte che oggi tocca a tanti giovani ucraini in fuga dai bombardamenti. Il film racconta l’incredibile vera storia di Mario Capecchi, Premio Nobel per la medicina nel 2007.  soffermandosi sugli anni della sua infanzia e adolescenza, che sono stati determinanti per ‘scrivere’ il suo futuro di scienziato.
Per questa intensa, emozionante pellicola, prodotta da Jean Vigo Italia con Rai Cinema e Rhino Films, Inc. il regista torinese ha scelto un ottimo cast internazionale, con Laura Haddock, Edward Holcroft, Elisa Lasowski, Rosa Diletta Rossi e la partecipazione di Francesco Montanari

Nei bellissimi scenari dell’ Alto Adige, dove Faenza ha ricostruito anche gli esterni degli Stati Uniti, comincia la storia di Mario. Ha solo 4 anni quando sua madre viene arrestata dai fascisti, trascorre l’infanzia per strada vivendo di espedienti. Finita la guerra, ritrova miracolosamente la mamma e ricominciano una nuova vita in America, presso la comunità Quacchera ‘Hill of Vision’. Suo zio ricercatore gli trasmette la passione per la scienza e, visto che la fame sofferta gli ha aguzzato l’ingegno, Mario stesso ha raccontato di considerare i suoi successi scientifici come il risultato dell’esperienza vissuta nell’ infanzia, lottando per la sopravvivenza.
La storia, che in autunno arriverà nelle scuole, è un grande insegnamento di umiltà e di determinazione, qualità importantissime per un ricercatore. Mario nasce a Verona nel 1937, da una breve relazione fra Lucy Ramberg, una poetessa americana, e Luciano Capecchi, un pilota dell’Aeronautica italiana, fascista violento che lui ancora oggi detesta profondamente. Vedendo il film sulla sua dolorosa storia, racconta il regista, l’ottantacinquenne scienziato si è profondamente commosso.

“Sono quindici anni che lavoriamo a questo film, ovvero dal 2007, da quando io e Elda Ferri abbiamo appreso della vita di Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina. Sarebbe una storia incredibile se non fosse accaduta davvero. La cosa che più mi ha affascinato – spiega Faenza presentando il film a Roma con il cast-, è stata l’idea di dovermi cimentare con la psicologia di Mario in quell’arco di tempo che va dai 4 agli 11 anni. Come ha potuto quel bambino superare la fame, la povertà, l’abbandono prima della madre e poi del padre? Come è riuscito, partendo da una condizione di vita a dir poco impossibile, ad affrontare il passaggio dall’Italia all’America, da una lingua all’altra, dall’analfabetismo alla scienza per poi essere capace di ribaltare la realtà, lasciare alle spalle il passato, far tesoro delle difficoltà e alla fine emergere pienamente? Deve aver introiettato da sua madre Lucy un insegnamento così forte e potente da superare quell’inferno che ha vissuto sino a quando nel 1945 lei è tornata viva dal campo di concentramento”.

Per Capecchi ricordare il suo passato non è stata una passeggiata, spiega Faenza.Tornare indietro nel tempo, affrontare momenti drammatici della propria vita, anche se poi accompagnati da molte gioie, comporta uno scavare dentro se stessi che richiede forza e dedizione. “Ho contato il tempo dei nostri incontri e siamo a molte decine di ore registrate, oltre alle giornate spese a tornare sui luoghi dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza sia in Italia che in America. Più che ricercare le location dove girare il film, abbiamo scavato “le location dell’anima” di Mario. Gli snodi della sceneggiatura riflettono questo tragitto. Parlando con Mario ho avuto la sensazione di entrare in una miniera dove scendendo i vari piani si scopre sempre qualcosa di nuovo.Il senso del film è offrire allo spettatore gli stessi momenti di emozione generati in me da un’avventura così appassionante che sembra un romanzo”.