Si sa che tra moglie e marito è sempre bene non mettere il dito, ma quando l’intrusione si manifesta nell’ingombrante presenza di un ospite inaspettato che sembra aver subaffittato il divano del salotto, possiamo dire che la situazione è sfuggita veramente di mano. Dalla seconda opera dei fratelli Russo ( Welcome to Collinwood, 2002, Arrested Developmente) esce il ritratto dell’etreno ragazzo fuori di testa e dal cuore grande. L’amico che oguno di noi sa di amare senza capirne esattamente il motivo. Un eterno Peter Pan pronto a disfarsi con una sorta di ingenua inconsapevolezza di ogni responsabilità, per poi piombare nella vita di due freschi sposi sovvertendo l’ordine di un’esistenza di coppia ancora non ben avviata. Tutto questo e molto di più è Dupree. Interpretato dal nuovo talento comico demenziale Owen Wilson ( Due single a nozze, 2006), questo moderno “picchiatello” è il risultato di una particolare miscela tra sensibilità, romanticismo, superficialità e caparbietà nell’inseguire il nulla assoluto. Si commuove teneramente vedendo per la millesima volta “Vacanze romane” ( il suo film preferito), non si separa mai dalla sua testa d’alce ( la motivazione è destinata a rimanere oscura), per finire con originali abitudini alimentari ( costate d’agnello inzuppate in un bicchire di latte è il suo modo per iniziare una giornata). In fin dei conti un Dupree può sconvolgere l’esistenza di chiunque ad occhi chiusi, eppure non riesce a dare un senso comico compiuto ad un film. Nonostante il personaggio sia raccontato con precisione e senza risparmiare un solo colpo nella riproduzione dell’assurdo e del demenziale, Tu, io e Dupree può essere considerato, al massimo delle possibilità, come un film scarsamente godibile. Visto la statura del cast ( Matt Dillon, Kate Hudson, lo stesso Wilson ed un redivivo e a colpo d’occhio fresco di chirurgia estetica Michael Duglas) abituato al genere ed ai ritmi impartiti da questo, si attendeva una commedia dai toni caustici pronta a far ridere e non solamente sorridere ad intermittenza. Nonostante la presenza di alcuni sketch più o meno riusciti, il problema risiede nei profondi momenti di vuoto che caratterizzano l’intera vicenda. Sembra che i fratelli Russo abbiano puntato tutto sul talento di Wilson, offrendogli quasi la possibilità di un placoscenico assoluto su cui esibirsi in un lungo numero di cabaret che, reggendosi quasi esclusivamente su di una vicenda sfilacciata e frammentaria, non ha prodotto altro che un avanzato stato di noia.

di Tiziana Morganti