Se vuoi crescere devi avere il coraggio di seguire il lupo. DI non fermarti alla barriera cui ti trattiene la paura, l’abitudine e tutti gli altri abitanti del bosco, ma andare oltre, incontrare il lupo e seguirlo verso il lato oscuro della via. Appena oltre la nostra solitudine, l’incertezza e l’interrogativo. L’assunto è chiaro, semplicemente ed efficacemente espresso dagli animali di carta dei siparietti che aprono, punteggiano e chiudono il film di Vittorio Moroni, Tu devi essere il lupo, interpretato da Ignazio Oliva, Valentina Carnelutti e dalla giovanissima Valentina Merizzi, ispirato non a fatti autobiografici ma a sentimenti vissuti, tutto ruotante intorno al tema della genitorialità, alla sua casualità o al suo determinismo, al suo peso genetico o sociale e tutto costruito attraverso universi temporali paralleli che, alla fine, non convergono e quando sembrano potersi toccare, neppure si sfiorano. Soluzione non facile e non consolatoria per un piccolo film dalla lunga gestazione (più di sette anni), girato tra una Lisbona quotidiana e non letteraria, remoto luogo di rifugio, Sondrio e dei fazzoletti di Valtellina, paesaggi (e luoghi nativi del regista) che si impongono come personaggi, per un film in cui si riflette (ma in modo discreto) l’esperienza documentaristica del regista, qui al suo esordio nel lungometraggio (dopo aver vinto il Sacher d’argento e per ben due volte il Premio Solinas) e ben consapevole che anche qui (come in un documentario) con i luoghi, gli oggetti, i corpi, le facce spesso sia necessario “negoziare i significati”. L’importante è non perdere di vista il bandolo della matassa e il trentatreenne Moroni riesce a tenerlo stretto, anche nei momenti in cui sembra lo stia disperdendo, mentre alla fine tutto quadra, ogni tassello ritorna al suo posto e il puzzle solo suggerito all’inizio ricompare nitido.

Ma non sarebbe mai nato questo film senza l’inventiva “dettata dalla disperazione” del regista. Che oggi racconta: «Anche a film concluso, quando abbiamo scoperto che i fondi per la distribuzione erano stati tagliati drasticamente, avevamo problemi irrisolvibili e, girando tra i distributori, uno di loro ci rispose che oggi chiedere di distribuire un piccolo film italiano è come chiedere la pace nel mondo. Così mi è venuta l’idea dell’autofinanziamento. Abbiamo cominciato a girare per città e paesi offrendo ad ogni persona disposta a versare 5 euro un biglietto per il film che verrà. Il risultato? La certezza che Il film uscirà a Torino, Firenze, Sondrio, ma anche a Roma e Milano, dove il pubblico potenziale, con il biglietto già acquistato in mano esiste ma dove non si è ancora trovata una sala». E gli attori ringraziano. Dalla Carnelutti (la dolce Francesca de La meglio gioventù), mamma che abbandona la propria neonata, che confessa: «Ho pensato un po’ che non sarei riuscita a interpretare questo personaggio perché sono una mamma e l’idea di una madre che abbandona la propria bambina mi era insopportabile. Poi ho deciso di farlo, cercando di scendere in profondità e di accettare comunque il fatto che queste storie esistono e che è bene parlarne, proprio perché se ne parla troppo poco». Al papà adottivo Ignazio Oliva che ha vissuto tutta un’altra storia: «Perché non ho figli ma mi piace molto l’idea di averli un giorno e il fatto di essere qui padre di una bambina non mia mi è sembrato molto interessante perché io credo nell’amore e non nella genetica. Nell’amore fine a se stesso, dato anche in cambio di niente».

di Silvia Di Paola