“Col cinema mi sono salvato la vita”. Lo dichiara Salvatore Striano, protagonista con altri ex detenuti come lui oggi diventati attori di Take Five, uno spaghetti gangster in salsa napoletana originale e divertente, finalmente nelle sale dal 2 ottobre. Il film, scritto e diretto da Guido Lombardi, in concorso all’ultimo Festival di Roma, ha dovuto aspettare un anno per poter approdare sul grande schermo, grazie a Microcinema, che parte da trenta copie, sperando di aumentarle strada facendo se otterrà il gradimento del pubblico. Che non dovrebbe lesinarlo a questo piccolo, ottimo film, che finalmente riscatta il decotto cinema italiano.

I protagonisti hanno mantenuto i loro veri nomi e la loro storia di veri ex galeotti che qui, con un idraulico col vizio del gioco d’azzardo affogato nei debiti, mettono a segno una rapina milionaria con coraggio e incoscienza. Per il titolo Lombardi ha preso in prestito l’omonimo brano di Bruback del 1959 dall’irregolare tempo quintuplo in cinque beat. E si è affidato alle musiche di Giordano Corapi, che ha trovato il giusto tono richiamandosi agli spaghetti western di Morricone, alla musica di Bill Conti, associando ciascuno dei protagonisti a uno strumento musicale. Anche nella narrazione c’è un azzeccato mix di generi (che ricorda cult come I Soliti ignoti, le Iene, Rapina a mano armata). Riprese lampo, in sei settimane, a Napoli, con pochi soldi, con l’aiuto di Rai Cinema e del ministero.

Il trentanovenne regista napoletano, dopo il felice esordio nel 2011 con Là-bas-educazione criminale (miglior film nella Settimana della Critica a Venezia) torna con questo tragicomico thriller, malinconico, a sfondo noir. Come protagonisti ha voluto ad ogni costo Gaetano di Vaio (che è anche coproduttore del film) nei panni del ricettatore, Salvatore Striano (poi scelto dai Taviani per il film vincitore dell’Orso d’oro a Berlino) per il fotografo malato di cuore, Peppe Lanzetta nei panni del galeotto depresso O’ Sciomèn, Carmine Paternoster, l’ingenuo operaio ideatore della rapina, Salvatore Ruocco, il giovane pugile fallito nipote di Gaetano. Ad accomunare la gang (chiamata a Napoli “paranza”) la necessità di riscattare o salvare la propria esistenza con una potente iniezione di denaro. Diffidenti ma solidali, dopo aver svuotato il caveau della banca con conseguente fuga nel condotto fognario cittadino, saranno coinvolti in un reciproco gioco al massacro per spartirsi il bottino.

“La storia è stata cucita addosso agli attori, prima delle riprese abbiamo provato intensamente per tre settimane nell’appartamento che nel film è lo studio fotografico di Sasà, tutti hanno dato un grande apporto alla sceneggiatura- ricorda il regista-. Facendo uno spaghetti gangster è molto difficile avere credibilità, loro cinque col loro carisma e con il loro passato criminale, erano gli unici in grado di interpretarlo”. “E’ un mondo duro, aver fatto certe esperienze fuorilegge è stato un valore aggiunto – dice Di Vaio -, doveva essere un film originale”. E lo è davvero. “Nessuno di noi ha precedenti per rapina – ci tiene a sottolineare Striano, con ironia –. Per fortuna la nostra prima volta è in questa ‘americanata’ di qualità, dove si scherza, si beve, si spara, per finta”.