Ken Loach, poeta del sociale, ci regala una nuova, imperdibile storia di umanità e solidarietà, raccontandoci il mondo come dovrebbe essere, nel film The Old Oak, nelle sale dal 16 novembre. Un dramma commovente che parla di perdite, di paura e della difficoltà di ritrovare la speranza, magistralmente interpretato da Dave Turner con Ebla Mari.
The Old Oak è un posto speciale. Non è solo l’ultimo pub rimasto, è anche l’unico luogo pubblico in cui la gente può incontrarsi in quella che un tempo era una fiorente località mineraria e che oggi attraversa momenti molto duri, dopo 30 anni di ininterrotto declino. Il proprietario del pub, TJ Ballantyne (Dave Turner) riesce a mantenerlo a stento, e la situazione si fa ancora più precaria quando lo storico e ormai fatiscente locale diventa territorio conteso dopo l’arrivo dei rifugiati siriani trasferiti nel villaggio. Stabilendo un’improbabile amicizia, TJ si lega ad una giovane siriana, Yara (Ebla Mari). Riusciranno le due comunità a trovare un modo di comunicare?

L’ottantasetenne regista britannico fa nuovamente centro con questa emozionante, attualissima commedia a tinte forti che mostra quanto le frustrazioni e la mancanza di solidarietà accomunino le genti dei paesi occidentali indurendo cuori e menti e facendo perdere di vista le sorti di chi vive tragedie ancor più devastanti. Ha scelto un cast eccezionale, scoprendo la venticinquenne attrice siriana per dar vita a Yara, una rifugiata appena arrivata nel Regno Unito e spedita con la sua famiglia in un’ex città mineraria nel nord-est dell’Inghilterra. Una comunità lacerata da decenni di incuria e in cui le abitazioni a basso costo vengono vendute online a società estere senza volto. Povera gente disillusa che accoglie astiosamente gli stranieri, trattandoli come nemici invece che come vittime, addossando loro colpe che non hanno.

Anche se non è una rifugiata siriana Ebla ricorda la decennale guerra civile è solo al di là del confine della sua città natale. “Non è così distante -dice -, la vediamo, abbiamo sentito le bombe e abbiamo dei parenti lì. Quindi so cosa sta succedendo”. Ma per collegare la sua storia a quella di Yara, ha fatto ricerche sulla città di Homs, da cui proviene il personaggio, ne ha imparato l’accento preciso, ha guardato documentari e ha parlato con gli amici. E mentre si trovava nel Regno Unito, nelle due settimane precedenti l’inizio delle riprese, ha visitato i rifugiati siriani che erano stati mandati dalle autorità a vivere in queste vecchie città minerarie, entrando nelle loro case e ascoltando le loro storie. “È stato molto difficile ascoltarle da vicino, e molto emozionante – racconta l’attrice -. Da un lato, è ovviamente positivo che non siano in una tenda in un campo profughi. Ma dall’altro lato, si tratta di un trauma continuo. Le loro famiglie sono separate e si sentono soli”.
“Un giorno dovremo essere così organizzati e determinati da fare in modo che la solidarietà possa porre fine alla sofferenza e alla necessità di ricorrere alle lotte – sottolinea Loach -. Abbiamo già aspettato troppo a lungo”. Una ricetta sicuramente valida per curare tutte le tragedie etniche che stanno devastando il mondo.