La fine di un’epoca, di un impero, di un mondo. La raccontano Gaia De Laurentiis e Lorenzo Costa in Girotondo del drammaturgo Arthur Schnitzler, in scena dal 4 al 16 febbraio al Teatro Dell’Angelo di Roma con la regia di Francesco Branchetti.

Una storia che racconta, tra note ironiche e sfumature di profonda amarezza, l’ipocrisia delle norme morali dell’Austria felix e, in particolare, della Vienna in cui sta nascendo la psicanalisi e sta crollando l’impero asburgico. Ogni personaggio è un tassello di un mosaico che esibisce tutti i colori della società dell’epoca, svelando l’assurdità delle norme e consuetudini  morali dominanti nella società.

L’intreccio si basa sugli incontri tra dieci personaggi appartenenti di differenti condizioni sociali: la prostituta, il soldato, la cameriera, il giovane signore, la giovane signora, il marito, la ragazzina, il poeta, l’attrice, il conte, che dialogano due alla volta. Ognuno è smascherato della sua veste sociale e svelato nella sua umanità  più vera, attraverso la straordinaria capacità dell’autore di indagare, di  analizzare  e raccontare la banalità, il quotidiano, l’inutilità delle convenzioni e la retorica spietata dei rapporti.

Girotondo indaga la catastrofe affettiva ed amorosa in cui ogni essere umano può imbattersi, parla della crisi generale dell’uomo contemporaneo, riflette sulla condizione umana in cui l’amore talvolta diviene soltanto piacere fisico,  che spesso sfocia in mera abitudine. E’ la rappresentazione di una società in crisi che fatalmente è costretta a fare i conti con sé stessa. Schnitzler parla di convenzioni, di finzione, di un amore alienato, di una ricerca mossa dal desiderio di colmare un vuoto, di una solitudine che ha conseguenze profonde nella società. L’ipocrisia è il motore principale dei personaggi, ma le loro vite si rivelano come una dolorosa ricerca del nulla, in un girotondo dove l’amore è spesso inutile, quasi sempre uguale, ripetitivo, negativo, in fondo disperato. Ogni cosa gira su sé stessa e alla fine anche le esistenze dei protagonisti si svuotano di senso in un balletto implacabile in cui dominano banalità, falsità, retorica, perdita di senso della realtà, vacuità della vita e stereotipi di relazioni e rapporti.

La regia intende restituire al testo la straordinaria capacità d’indagare l’animo umano e le tortuose relazioni che abbiamo con noi stessi e con gli altri; ansie, paure, malesseri, malinconie, dolori, solitudini si confondono in una danza macabra e straziante che trascina lo spettatore nell’inferno privato di un rapporto di coppia, di una relazione, di un incontro. Le scene (di Alessandra Ricci) e le musiche (di Pino Cangialosi con la danzatrice Federica Ruggero) daranno un apporto fondamentale a questo viaggio nel mondo dei rapporti tra uomini e donne, nell’inconscio, nella psiche, di cui sono proiezioni.