Che Bruce Lee sia il termine di paragone per ogni nuova star del cinema marziale è innegabile, come è necessario e doveroso che ogni arte abbia il suo pioniere, che traduca in trentacinque millimetri i dettami della sua rude fede e la renda appetibile al mondo intero. Probabilmente senza Steven Seagal non avremmo mai conosciuto i prodigi della “sfera dinamica” dell’Aikido, e senza Van Damme non saremmo mai stati introdotti ad una delle arti più dure che mente umana abbia mai concepito, la Muay Thay. Anch’essa nata per ragioni sociali, per liberare cioè la Thailandia dal dominio birmano, essa affonda le radici nella notte dei tempi, ma solo con il sovrano Pra Chao Sua (1703-1709) raggiunse il suo massimo splendore, divenendo l’arte dei re, diffusa oggi nella sua patria d’origine come il calcio lo è da noi. Al lottatore-ballerino belga dunque il merito di averci messo la curiosità, ora a Prachya Pinkaew quello di averci ricamato un film attorno, di una qualità esportabile fuori dalla Thailandia, lui che dice essersi ispirato alle gesta di Phanna Rithikrai autore, interprete e produttore di Born to Fight di cui Onk-Bak è una sorta di remake. È il sublime e vorticoso turbinio di gomiti, ginocchia, di ossa che si rompono, l’unico e vero protagonista di un film come questo che riconosce ed utilizza i codici espressivi della pornografia in quanto ricerca dell’essenziale corporeo, della sublimazione della carne. Quando sceneggiatura e dialoghi diventano soli e fragili anelli di congiunzione, è lo scontro/incontro fisico di due o più corpi ad avere predominanza. Ma Ong-Bak non è solo “pornografia del pugno”, esso ha anche concezione videoludica: unisce cioè vertiginosi inseguimenti in esterni che sembrano un ‘arcade’ a scorrimento orizzontale, a più raccolti incontri in modalità ‘versus’ con la possibilità di misurarsi con avversari di diversa natura e dalle più varie caratteristiche. Tony Jaa è convincente nella sua inespressività ed unisce la leggerezza di un Jackie Chan all’atteggiamento di un Jet Li. Dateci un cattivo, un sopruso verso un innocente, qualche grugnito e lo spettacolo inizia, e allora volano tavoli, bottiglie, sedie, e si combatte in ogni possibile situazione. C’è da dire comunque che prima che il cinema di Hong Kong diventasse la brutta copia di Hollywood, con il suo uso accentuato di imbracature ed effetti visivi, i film erano come Ong-Bak, rinomati prodotti di bravi ‘mestieranti’. Il film è consigliabile comunque a tutti gli estimatori dell’antica arte thailandese, non certo a chi abbia il desiderio di una storia cui appassionarsi.

di Alessio Sperati