Quando il marito è distratto e la moglie è precocemente annoiata e rassegnata non c’è miglior soluzione per ravvivare il rapporto di un immersione improvvisa e scioccante all’interno di un campo di naturalisti. Questa la filosofia matrimoniale di Franck Landron che con Nudisti per caso, suo quarto lungometraggio, cerca di costruire una commedia degli inganni e dei malintesi al di sotto della quale sembra nascondersi oltre che un improbabile consiglio per rinverdire passioni assopite, una critica leggera e di certo non malevole nei confroti di certi ambienti che, solitamente vittime di discriminazioni, si trasformano ad occasione loro stessi in discriminatori. Una scusa cinematografica per passeggiare lungo le vie impervie delle frustrazioni sessuali di una classe media parigina, non poi così diversa dalla nostra, per riflettere sul significato liberatorio della nudità, sul valore del pudore fisico e sul peso della diversità vissuta da chi è abituato a percorrere sempre la direzione consona. Una panoramica, dunque, che avrebbe potuto offrire spunti illimitati di commedia ed ilarità, ma che sembra essere stata punita ed imbrigliata all’interno di una lentezza narrativa che spezza tempi i comici ed amplia eccessivamente elocubrazioni esclusivamente femminili (gli uomini sono poco più che delle comparse). Ed è così che l’attonito stupore stampato sul volto di Sophie (Barbara Schulz), impegnata nel tentativo estremo di sopravvivere alla sua condizione di “vestita” all’interno di un universo circoscritto di non vestiti, stanca ma soprattutto distrae l’attenzione dello spettatore da quello che potrebbe essere l’aspetto più innovativo: la scoperta del suo essere ancora donna, la voglia di anticonformismo, di seduzione, di desiderio, di sesso e di vita. Emozioni, d’altronde che Landron, quasi temendo il pericolo di poter cadere facilmente vittima del cattivo gusto, descrive e fotografa con una tocco talmente leggero da sembrare del tutto casuale e privo di forza espressiva. Lontano dall’essere introspettiva, priva di qualsiasi effettiva pulsione erotica, l’evoluzione di Sophie si compie a metà strada tra il desiderio e la vergogna per aver subito il fascino della tentazione, cercando di ignorare il desiderio d’osservare e di essere a sua volta oggetto di piacere visivo. Un universo sofisticato ed asettico, mai stordito effettivamente dal vortice della libertà, all’interno del quale il mutamento estremo viene rappresentato non tanto come un bisogno primario, un’esigenza effettiva ma come una necessità del momento colta per dare nuovo significato ad una realtà affettiva altrimenti destinata a perdersi nell’oblio dell’abitudine. Un happy end dal retrogusto amaro e fin troppo malinconico per una commedia che raramente vibra al tocco dell’ironia.

di Tiziana Morganti