Ridere e commuoversi al cinema, succede sempre più di rado. E’ riuscito nell’impresa Francesco Bruni col film Tutto quello che vuoi, prodotto da Beppe Caschetto con Rai Cinema che 01 distribuirà su duecento schermi dall’11 maggio. Il regista del fortunato Scialla torna per la terza volta dietro la macchina da presa puntandola in modo equilibrato e poetico su temi delicati e “indigesti” come la vecchiaia solitaria sfidata dall’Alzheimer e la gioventù bruciata apparentemente senza ideali, minata dal disinteresse sociale e dall’incomprensione familiare.

Sulla carta un polpettone pesante che Bruni, invece, impastando sapientemente malinconia e umorismo, ha reso profondamente commovente e al contempo divertente, senza mai scivolare nella retorica. Grazie alla sua abilità indiscussa di sceneggiatore e alla perfetta scelta dei protagonisti: il navigato, grandioso Giuliano Montaldo e il più che promettente Andrea Carpenzano (già collaudato da Claudio Amendola nel bel film Il permesso), abilmente spalleggiato dai coetanei Arturo Bruni, Emanuele Propizio, Riccardo Vitiello, con il prezioso e corposo supporto di Donatella Finocchiaro, Raffaella Lebboroni, Antonio Gerardi.

Toccato personalmente dalla malattia del padre, ora scomparso, e ispirandosi liberamente al libro di Cosimo Calamini Poco più di niente, Bruni racconta con tocco profondo e leggero il reticolo complesso delle relazioni umane “stanando” un ragazzo come tanti, che non studia, non lavora e bighellona al tavolo di un bar trasteverino con tre amici “disimpegnati” come lui, e lo mette al fianco di un anziano poeta un po’ svampito. Per venti euro al giorno dovrà portarlo a spasso un paio d’ore, guardato a vista dall’arguta vicina di casa che si prende amorevolmente e disinteressatamente cura del poeta. Dopo l’iniziale insofferenza, si coalizzerà con il terzetto di amici per soddisfare un sogno segreto del vecchio, riscoprendo valori veri e profondi dimenticati, come la generosità, la tenerezza, la speranza, la fiducia nel prossimo, nella vita, nella poesia, nei sentimenti, nella memoria.

“Per mia moglie come attore ero un cane, ho voluto farle cambiare idea” dice divertito Montaldo, che nel film si muove tenero, buffo e smarrito tra i lontani ricordi di giovane partigiano e di silenzioso amante non corrisposto (un cammeo di sua moglie Vera), ignaro del presente. “Il racconto di come eravamo per capire chi siamo, per riempire un vuoto mentale, è meglio se viene dagli anziani, possono dare cultura, aprire una porta alla discussione che non si fa più – spiega l’ ottantasettenne attore-regista -. Dobbiamo riprendere a vivere, a commuoverci, a ridere insieme”.

“Memoria, ascolto, fiducia, sono le parole simbolo del film – spiega Bruni -. Mi sono ispirato a mio padre, ai suoi ricordi di gioventù, alla sua malattia, creando una sorta di Don Chisciotte e quattro sgangherati Sancho Panza. Mia moglie Raffaella (Lebboroni) è la mia musa, grazie a lei amo la poesia. Mio figlio Arturo è un rapper, non era molto interessato a fare cinema ma mi ha regalato questo personaggio duro dal cuore tenero. Non ho un’opinione pessimistica sui ragazzi d’oggi, il nonsense esistenziale del film serviva a spingere l’acceleratore per il cambiamento. Vedere il bello nelle persone aiuta a diventare migliori, se c’è una motivazione i giovani invece di languire possono ribaltare il mondo”.