“L’uomo non sa perché si innamora. Viene travolto e basta”. Ne è profondamente convinto Giovanni Veronesi che nel film Manuale d’Amore, prodotto da Aurelio De Laurentiis, nelle sale dal 18 marzo distribuito da Filmauro, esplora i misteri del cuore raccontando il percorso che la maggior parte delle coppie di ogni fascia sociale e di età si ritrova ad affrontare nella vita. Un viaggio tenero, ironico, feroce e estremamente esilarante, che parla di noi a tutti noi, con un cast d’eccezione che si cala a pennello, mai sopra le righe e senza sbavature o scivoloni nei dialoghi, nei panni di quattro coppie alle prese con le loro storie private grondanti normale quotidianità. Il tutto scandito da quattro pretestuosi manualetti in Cd che, come dice la voce che ne pubblicizza i benefici, “attraversa le arterie più calde dell’amore”, insegnando come sopravvivere ad accadimenti cruciali come l’innamoramento, la crisi, il tradimento e l’abbandono. Veronesi, che ha preso spunto da un’idea di Vincenzo Cerami e l’ha sceneggiata a quattro mani con Ugo Chiti, fa un omaggio alla grande commedia all’italiana, che per fortuna ogni tanto si riaffaccia a dare belle boccate d’ossigeno all’asfittico cinema di casa nostra. La storia parte dai giovani, con lo sfigatissimo Silvio Muccino che “senza lavoro, senza una lira e senza una donna” per sfuggire alla jattura di un gatto nero che gli taglia la strada inchioda il vespone di fronte alla casa della solare Jasmine Trinca, scherzi della sorte padrona del gatto incriminato e li vedremo alle prese con le varie fasi dell’innamoramento, dal primo bacio fino al matrimonio. Mentre loro sprizzano vitalità da tutti i pori, per contraltare, Veronesi sforna i coniugi quarantenni Margherita Buy e Sergio Rubini, logorati da anni di frustrazioni professionali lui (nevrotico istruttore di scuola guida) e lei di routine matrimoniale senza figli, che tentano di trovare “soluzioni intelligenti” alla crisi finiscono vittime di squallidi villaggi vacanze, terapie di coppia new age, cene in casa di amici neogenitori attempatelli che mostrano fieri, tra l’orrore di lui, il filmino del parto. “Siamo veramente a rischio” pensa lei; “bisogna fare una scelta” si convince lui.

E passano il testimone all’integerrima vigilessa Luciana Littizzetto che scoperto il marito fedifrago in flagrante adulterio con la maestrina del figlio durante la recita scolastica che insiste col motto “negare l’evidenza”, come ogni donna ferita nell’amor proprio diventa una inflessibile “cacciatrice” di maschi a suon di supermulte. A farne le spese più grosse è il dottor Carlo Verdone, che per una sosta in doppia fila arriva ad oltraggiare il pubblico ufficiale in divisa, ma in tribunale lei lo perdona scoprendo che è fuori di testa per il fresco abbandono della consorte. E anche se Verdone (che dà veramente il meglio di sé quando è diretto da mani altrui, validissime in questo caso) ci sciorina un monologo con la segreteria telefonica della moglie fuggiasca già sperimentato con successo in precedenza (Maledetto il giorno che t’ho incontrato) ma l’effetto è sempre esilarante. E risate a raffica, miste a emozioni sommergono durante tutto il film anche una platea smaliziata come quella delle proiezioni stampa. «L’amore è stato sempre il tema più sfruttato dal cinema – spiega Veronesi -. È un sentimento saccheggiato, derubato, analizzato sistematicamente da filosofi, psicologi, sociologi. Alcuni dicono addirittura che l’amore sia un’attitudine umana dalla quale guardarsi e alla quale guardare con sospetto perché comporta cambiamenti di carattere improvvisi o alterazioni psichiche che non fanno bene al genere umano. Anch’io sono caduto in questa trappola – dice il regista – e ho voluto raccontare l’amore a modo mio, con ironia e sarcasmo. Avendo ormai più di quarant’anni ho attraversato tutte le fasi di questo eterno sentimento che sono raccontate nel film. Ma rimane sempre un angolo misterioso e buio all’interno del quale nessuno riesce a capirci nulla: amori sbagliati, tragedie familiari, amori che durano tutta la vita o un giorno, tutti con la capacità e la forza di lasciare segni indelebili e cicatrici profonde. In realtà il film parla di noi, di tutti noi e di quanto siamo ridicoli a volte quando siamo innamorati; ma anche di quanto siamo teneri, ingenui, feriti. Insomma, raccontare l’amore è un piacere. Viverlo a volte no».

di Betty Giuliani