Per raccontare la storia di un gruppo di donne magrebine rimaste sole in patria a causa della partenza dei loro uomini e costrette a fare i conti con la dura realtà del loro paese, ci voleva uno sguardo lirico e sensibile che evitasse i facili stereotipi per immergersi in pieno nelle contraddizioni e negli aspetti più critici della società che descrive. Fortunatamente la giovane regista marocchina Yasmine Kassari possiede tutte queste qualità e ci offre un film denso di emozioni e visivamente struggente. Il ritmo è lento, riflessivo, pochi i colpi di scena e molto ben calibrati: alla regista infatti interessa di più soffermarsi sui volti e sulle espressioni delle sue protagoniste, sul rapporto degli uomini con gli ambienti africani vasti e desertici, sui rituali tipici della cultura marocchina, soprattutto per quanto riguarda il mondo femminile. Il film si regge in gran parte sull’intensa interpretazione delle attrici Rachida Brakni e Mounia Osfour, non solo di grande bellezza ma anche abili nell’offrire mille sfumature ai personaggi che incarnano. Esse recitano con gli occhi, con il corpo, vivono la parte intensamente e si offrono in tutte la loro forza e fragilità; amano, soffrono, urlano, piangono e sorridono con una verità così reale da superare la finzione. Opere come L’Enfant endormi sono necessarie all’interno dei festival cinematografici poiché offrono allo spettatore uno sguardo su contesti culturali e condizioni umane totalmente diverse da quelle europee, mettono in evidenza problemi e tematiche di grande importanza spesso sottovalutate come, in questo caso, la condizione della donna nel mondo arabo, il suo rapporto subordinato con l’uomo e il suo modo di vivere la maternità e il matrimonio.

di Simone Carletti