Sacerdoti che insegnano a scacciare demoni, fantasmi e morti viventi, pugnali sacri per uccidere creature millenarie e ‘divoratori di peccati’. Quelli che potrebbero sembrare gli ingredienti di un gioco di ruolo fantasy nato dalla fantasiosa mente di qualche romanziere americano, sono invece i tratti salienti dell’ultimo film di Brian Helgeland, un fanta-thriller ambientato nella Roma dei nostri giorni. Questo talentuoso sceneggiatore, premio Oscar nel 1998 per L.A.Confidential, si è cimentato anche in tre regie, due delle quali con il gruppo Heath Ledger/Shannyn Sossamon/Mark Addy. Il trio de Il destino di un cavaliere, originale visione di un medioevo fumettistico e patinato di rosa, sembra votato alla reinterpretazione in chiave giovanilistica di alcuni generi superquotati al borsino di Hollywood, tra cui il classico thriller/horror a sfondo religioso che tanti grandi nomi ha impegnato in passato: basti pensare come anche Roman Polanski si sia cimentato nel genere con La nona porta, creando un punto di riferimento per tutti gli avventori. Quando il genere thriller si muove sulle corde dello spirito, il risultato spesso funziona: se Stigmata aveva tutte le carte in regola per regalarci momenti di pura suspence e Angel Heart – Ascensore per l’Inferno ci offriva il sofferto testamento professionale di un Mickey Rourke passato a peggior vita, film come The Body o La setta dei dannati ci fanno tornare coi piedi per terra. L’alone di mistero che circonda le mura vaticane e che da sempre affascina i creativi di oltreoceano non sono sufficienti a fornire spessore ad una vicenda che non ne ha affatto. Non sono sufficienti neanche le impressionanti scenografie di Miljen Kreka Kljakovic, già cimentatosi nella riproduzione scenica delle bellezze nostrane con alcuni scorci veneziani in Secret Passage, a dare quella completezza e quella sacralità ad una pellicola che a tutti gli effetti odora di dilettantismo. Questo film, che nella sua storia ha dovuto attraversare problemi di realizzazione prima e distribuzione poi (i tre titoli ne sono l’ultima conseguenza), raggiunge, secondo il nostro personale metro di giudizio, un record assoluto: tutti gli attori sono inadatti al ruolo che interpretano, del resto Helgeland dovrebbe capire che esistano altri professionisti al mondo oltre a Heath Ledger e compagni.
di Alessio Sperati