Emoziona e fa riflettere l’ultimo film di Marco Bellocchio

Un film sul senso della vita, sulla forza dell’amore, che si sia credenti o no. Bellocchio ha scritto e girato la sua Bella addormentata con mano leggera ma decisa, scandagliando le diverse posizioni che emersero clamorosamente nei giorni precedenti la fine della vita vegetativa di Eluana Englaro, portata avanti artificialmente durante i suoi diciassette anni di coma.

Una vicenda straziante che nel 2009 divise l’opinione pubblica, la Chiesa cattolica e le varie fazioni politiche che cavalcarono con volgare opportunismo la tragedia. E che oggi torna a far discutere, sull’eutanasia, sul voler mantenere in vita un essere umano ad ogni costo, dividendo chi ha visto e chi non ha ancora visto il film, “premiato” al Festival di Venezia da sedici minuti di applausi in sala, bissati anche all’anteprima stampa romana.

Il film (che 01 distribuirà nelle sale da venerdì 7 settembre in 250 copie) ripercorre gli ultimi giorni di Eluana, che fanno da sfondo a storie di fantasia, rappresentate da un cast di attori eccellenti e mai sopra le righe. Toni Servillo è un senatore berlusconiano che dissente dalle scelte di partito su questa delicata questione. Decide di votare contro una proposta di legge che moralmente non condivide, anche se ciò gli si ritorcerà contro, spiegando le sue ragioni in una toccante (e illuminante) lettera che leggerà in aula.

È ancora provato dalla recente morte della moglie, che ha chiesto il suo aiuto per mettere fine al tremendo dolore dei suoi ultimi momenti di vita, suscitando le ire della figlia bacchettona (Alba Rohrwacher),  che partirà per Udine per pregare accanto a chi difende la vita di Eluana, si scontrerà violentemente con un esaltato difensore dell’eutanasia, innamorandosi però follemente del fratello (Michele Riondino), che segue il giovane malato di mente per proteggerlo.

Isabelle Huppert è un’attrice che abbandona la brillante carriera per dedicarsi in modo paranoico alla figlia in coma, spiazzando il marito (Gian Marco Tognazzi) e il figlio (Brenno Placido) aspirante attore, che non si dà pace. Maya Sansa è un’irrecuperabile tossica che in ospedale tenta il suicidio, salvata suo malgrado dal tenace medico di turno (Pier Giorgio Bellocchio) che la costringerà a vivere.

Bellocchio evita di prendere una posizione: «Ho le mie idee, ma nel film non le manifesto – scrive nelle note di regia – Non è un film imparziale, ma sincero e per nulla ideologico». «Sarebbe  assolutamente innaturale per me utilizzare questo film come bandiera  di una tesi o di un’idea – dichiara l’autore -. Ho le mie idee e credo che un artista debba essere libero di  immaginare quello che gli pare. Non mi sono convertito, la mia è sempre una posizione laica. L’immaginazione non può respingere, castrare delle cose che ti vengono in mente.  Non sono voluto entrare nel merito della fede ma non c’è neppure un atteggiamento che vuole conciliare e salvare le varie posizioni. Insomma, non voglio condannare chi ha fede, anche se guardo con interesse chi ce l’ha. Questo film non è una bandiera con una tesi e non credo che Bella addormentata sia una minaccia alla cura».

Il regista piacentino è rimasto molto colpito dal rifiuto del cardinale Martini, da poco scomparso dopo lunga malattia, verso un inutile accanimento terapeutico nei suoi confronti. «Non è minimamente in discussione la sua fede assoluta, però la sua affermazione non mi ha lasciato indifferente e mi ha ricordato la frase di Wojtyla, “lasciatemi tornare alla casa del  Padre”, che nel film è citata un paio di volte».

Martellanti invece sono le immagini dei telegiornali che in quei giorni seguivano il caso Englaro, i televisori piazzati in ogni angolo, a catturare e annebbiare le menti, anche del manipolo di tragicomici senatori, ripresi al bagno turco, come nella peggiore, decadente antica Roma. Grotteschi pure i siparietti del premier che sottolinea la “vitalità” della ragazza in coma provata dal perdurare del suo ciclo mestruale, le dichiarazioni dei suoi accoliti per spingere una legge di sbarramento a ogni libertà di scelta. Illuminanti (e esilaranti) le dichiarazioni del senatore di Forza Italia (Roberto Herlitzka) che  da psichiatra afferma che i politici “sono tutti malati di mente”.

«Non c’è un atteggiamento di disprezzo nei loro confronti – spiega  Bellocchio – volevo piuttosto insistere sul loro sbandamento, conseguenza di una disumanità psicologica». Uno smarrimento di cui è preda anche il senatore Beffardi (Servillo): «L’indicazione del regista era chiarissima – racconta l’attore -,  un personaggio dubbioso nella fragilità, ma che mantiene sempre una grande dignità. Un uomo ricco di conflitti, ciò che si agita nella sua coscienza deve rispondere anche alla sfera pubblica, così come deve rispondere a una figlia che è su posizioni ideologiche opposte alle sue».

La Huppert è la “Divina Madre”, che rinuncia alla sua ragion d’essere: «Ma che in qualche modo mette in scena la morte di sua figlia – spiega l’attrice francese – , la trasforma in un personaggio da fiction, come una principessa, una ‘bella addormentata’ appunto. Anche il modo in cui lei si rifugia nella religione – prosegue la Huppert – è sintomatico di una non riducibilità rispetto alla sua condizione che la fa vacillare. Il film non dà risposte ma si pone numerose domande: che cosa vorremmo? Essere liberi di scegliere? Ma cosa ne facciamo di questa libertà, anche se ci danno la possibilità di morire come vogliamo?».

«Non credo che il dibattito sul ‘fine vita’ porterà al cinema più persone – osserva Bellocchio -. Ormai da tempo si è venuto a creare una sorta di distacco tra il ‘parlare tanto’ in tv, sulla Rete, e il cinema. In passato, forse,  questo tanto dibattere poteva portare più persone in sala, magari motivate dalla ricerca dell’elemento scandalo. Che comunque oggi arriva prima, attraverso altri mezzi, e che sinceramente non ha mai influito sul mio fare cinema. Quello che mi interessa, prima di ogni altra cosa, è cercare sempre di fare un buon film».

Morbido il giudizio pastorale della commissione valutazione film della Cei. «Il film è da valutare come complesso, problematico e opportuno per dibattiti. Intorno agli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro (siamo nel febbraio 2009), Bellocchio costruisce quattro vicende che vorrebbero essere esemplari della complessità di un dibattito, che chiede certamente a tutti uno sforzo in termini di dialogo e di reciproco rispetto per superare contrasti ruvidi, aspri, scostanti che spesso non portano a niente».