Il complesso universo giovanile raccontato attraverso una favola nera carica delle suggestioni del genere horror. E’ la scelta di Andrea De Sica per il suo esordio dietro la cinepresa con I figli della notte (nelle sale dal 31 maggio con 01), una storia di formazioni che ha ideato e scritto con Mariano Di Nardo, ispirandosi agli anni di liceo che gli hanno segnato la vita.
Il film girato interamente in Alto Adige,  ben interpretato dai promettenti Vincenzo Crea, Ludovico Succio, Fabrizio Rongione, Yulia Sobol, è ambientato in un austero, lussuoso collegio fine ‘800 per ragazzi ricchi. Una prigione dorata senza Internet e telefonini, non esente da episodi di bullismo, dove è quasi d’obbligo trasgredire, apparentemente alle spalle degli educatori che, consapevoli, vigilano nell’ombra sulle fughe notturne dei recalcitranti ospiti.

“La situazione estrema di un collegio per rampolli di famiglie benestanti è la chiave che ho scelto per confrontarmi con il forte sentimento dell’abbandono, con le difficoltà di relazione con i genitori nella fase di passaggio dall’infanzia all’età adulta – spiega De Sica, presentando il film a Roma insieme ai giovani protagonisti -. Un’ età indefinita, dove l’amicizia tra adolescenti è qualcosa di totale, dove tutto è ancora possibile, spesso segnata da esperienze che trasformano il proprio destino”.
Il trentaseienne regista romano (figlio di Manuel e nipote del grande Vittorio) si muove abilmente, con sguardo duro e passionale, al confine tra i generi classico, noir e sentimentale, esprimendo la sua personale visione della società attraverso il racconto di un mondo poco rappresentato dal nostro cinema.

Un bel film, molto diretto, politico, tutt’altro che consolatorio, sull’assenza delle famiglie, che vibra schiaccianti frecciate su questa terribile realtà sociale. Una storia claustrofobica,  ambigua fino alla fine senza mai scadere nel melò, ben accompagnata dalla suggestiva colonna sonora, presa in mano dallo stesso Andrea dopo la prematura scomparsa del padre, valente musicista. “L’adolescenza è fatta di certezze che poi vengono smantellate – commentano i protagonisti del film-, si sbaglia pensando di sapere già tutto, è l’errore che permette di superare certe fragilità”