C’è da chiedersi cosa ne sarà di loro. Ovvero: cosa ne sarà della Walt Disney quando non potrà più contare sulle ingenti entrate delle pellicole Pixar, dato che questa manna dal cielo avrà fine tra breve. Oltretutto non credo che si possano trarre spunti validi da tutte le attrazioni dei parchi a tema, quindi le maledizioni delle varie lune e le case infestate non potranno continuare all’infinito. La realtà dei fatti è proprio in queste considerazioni squisitamente economiche. Nessuno ha mai neanche lontanamente pensato che Walt Disney fosse un benefattore dell’umanità, ma il tocco magico che per tanti anni ha caratterizzato la casa di Topolino sì è perso nel momento in cui sono state applicate quelle teorie finanziare per cui il decentramento permette un maggiore sviluppo creativo e di conseguenza produttivo. Per questa ragione sono stati creati gli studi paralleli per lo sviluppo dei progetti animati in Florida e in Australia che hanno purtroppo creato dei problemi non indifferenti al livello qualitativo. Koda fratello orso è figlio legittimo di queste necessità aziendali che sembrano però aver mancato i loro obiettivi. 
L’animazione non è ai livelli degli standard abituali, sia per il tratto che per la caratterizzazione del disegno, privo della personalità che negli ultimi anni si è riscontrata solo in quelle poche perle come Le follie dell’imperatore e Lilo & Stitch.
Koda fratello orso si basa su tutte le tematiche care alla Disney, in particolare l’importanza fondamentale della famiglia nella crescita di un essere umano. Lo fa però in questo caso con metodi ben poco educativi, mostrando al suo pubblico, quello composto da giovani virgulti che sono ancora lontani dall’affacciarsi all’età adulta, una dose di violenza francamente superflua. Va bene cercare d’insegnare che la vita è fatta di gioie, dolori e scelte, ma lo hanno fatto per anni anche i cartoni animati giapponesi, da molti a lungo additati di essere la causa di chissà quali mali. Ma quelle serie, come ha scritto ultimamente su un’autorevole rivista un ancor più autorevole intellettuale (insomma, Caparezza sul Rolling Stone), ci hanno insegnato a capire la morte.
“Koda fratello orso” ce la mostra in tutta la sua crudeltà, la pone come tappa fondamentale nel viaggio iniziatico verso la consapevolezza di sé, ma non riesce nel suo intento. Troppo confusa la sceneggiatura, la messa in scena squilibrata, o scarna o pacchiana, e anche le figure di spalla, di solito ancora di salvezza di tutti i prodotti Disney più deboli degli ultimi anni, non riescono nell’intento. Le due alci sceme, ben doppiate da Olcese e Margiotta, sono simpatiche, ma niente di più.
Una grossa delusione, quindi, amplificata dalle terribili canzoni (già, dimenticavo: hanno ricominciato a cantare) scritte da un Phil Collins ormai da anni affetto da un delirio di onnipotenza che va di pari passo con la sua crisi creativa.
Possiamo dire solo una cosa per tirarci un po’ su: “Ciao Bello!!”

di Alessandro De Simone