Esce nei cinema il film che ha vinto il Festival di Roma e che solleverà qualche polemica

Si può ridere su un tema tanto delicato come l’eutanasia? Da noi, solo a nominarla, si scatenano feroci dibattiti tra laici e cattolici, tra chi difende il diritto di ciascuno a decidere quando poter “staccare la spina” e chi difende a spada tratta la sacralità della vita umana. Il regista francese Olias Barco ha trovato la chiave dell’ironia per affrontare l’argomento, attraverso il film Kill Me Please, una commedia noir, grottesca, pulp, dal 14 gennaio nelle sale italiane. Già uscito in Belgio, dove l’eutanasia è consentita, e senza scandali anche in Francia, il film ha superato brillantemente in autunno anche la frontiera romana dove ha vinto come miglior film il festival cinematografico della capitale. Ora il responso passa all’italico pubblico che, siamo certi e lo consigliamo, riempirà le sale per sghignazzare sulle tragicomiche sorti di un manipolo di surreali aspiranti suicidi che si rivolgono a un medico serio e motivato che dirige una clinica svizzera dove si pratica l’eutanasia assistita per, spiega Barco «Dare decoro e dignità al suicidio, che è un diritto dell’uomo».

Il medico dovrà dunque esaudire la funesta richiesta di strampalati personaggi tra cui una soprano rimasta senza voce, un regista depresso, un malato terminale che vuole cessare di vivere facendo sesso con una studentessa, un uomo che ha perso la moglie a poker.  Ma la furia dei cittadini benpensanti del piccolo borgo montano che vedono come fumo negli occhi medico, struttura e pazienti, non paghi di averli emarginati, daranno libero sfogo alla loro rabbia in un crescendo di esilaranti e sempre più grottesche vendette. Barco, a Roma per presentare il film, ha spiegato di aver  preso spunto dalla clinica svizzera Dignitas dove si pratica l’eutanasia assistita, ma di aver poi dato sfogo alla propria fantasia, saltando a pie’ pari nel film situazioni lacrimevoli o pistolotti sulle scelte etiche come avvenuto in precedenti pellicole tipo Million Dollar Baby di Eastwood o Mare dentro di Amenabar.

«Ho immaginato una clinica in un bellissimo posto in cui andresti a morire con un bicchiere di champagne in mano – ha raccontato il regista -. Sarebbe possibile girare un film del genere in Italia?» Difficile, visto il clamore suscitato di recente dai casi Welby ed Englaro. Lui però non demorde e, pensando ai tanti nostri registi anticonvenzionali, tra cui Marco Ferreri, che hanno influenzato anche cineasti d’oltreocenano con le loro tematiche forti, ha deciso di girare proprio qui il suo prossimo film, di stretta attualità, Roma Victor, sul legame tra sesso e politica!