Il nuovo film di Gianni Amelio, in sala dal 20 aprile

Dopo sei anni Gianni Amelio torna sul grande schermo per ripercorrere la sua vita insieme a quella di Albert Camus. Il regista le ha incrociate nel film autobiografico Il primo uomo, ispirato al romanzo incompiuto del grande filosofo e drammaturgo francese, premio Nobel per la letteratura, nelle sale dal 20 aprile. Rifiutato dal Festival di Venezia, non mandato da lui per ripicca al Festival di Roma, il film è approdato al Festival di Toronto dove ha vinto il Premio della Critica Internazionale.

Amelio non ha preso i dialoghi del libro ma li ha riscritti, ritagliandoli dalle vicende della sua famiglia, dalla sua infanzia povera nella Calabria degli anni ‘50, passata come il protagonista del film, tra una madre e una nonna forti, un padre assente, la scuola, il maestro, i compagni, che lasceranno un segno nella sua vita di adulto.  La trama del film prende le mosse da quando, tra i rottami dell’auto sulla quale Albert Camus trovò la morte il 4 gennaio del 1960, fu rinvenuto un manoscritto con correzioni, varianti e cancellature: la stesura originaria e incompiuta de Il primo uomo, sulla quale la figlia Catherine, dopo un meticoloso lavoro filologico, ricostruì il testo pubblicato nel 1994. È una narrazione forte, commovente e autobiografica, che molto ci dice del suo autore, della sua formazione e del suo pensiero. Attraverso le impressioni e le emozioni del protagonista che, nel desiderio di ritrovare il ricordo del padre morto nella prima guerra mondiale, torna in Algeria per incontrare chi l’aveva conosciuto, Camus ripercorre parte della propria vita.

«Ho accettato una sfida – dice Gianni Amelio – senza mai pensare a un confronto, che sarebbe stato impossibile. So che il regista deve considerare il libro a cui si ispira uno stimolo e non un tema da illustrare, ma questa volta era diverso. Il primo uomo non è un romanzo di finzione ma un’opera autobiografica: non si trattava quindi di fedeltà a un testo letterario (questione opinabile) ma del rispetto per la vita di una persona. Inoltre non ho mai considerato Il primo uomo un libro ‘incompiuto’, ma l’espressione piena e coerente del pensiero di Camus, in linea con le sue opere più alte. E solo una lettura superficiale potrebbe immaginarlo come un racconto nostalgico rivolto al passato. Penso invece che Il primo uomo sia un libro politico nel senso più ampio del termine, cioè urgente e profondo, un libro “necessario” nel momento in cui è stato scritto, e non solo. Il primo uomo è l’intervento potente di un grande scrittore sulla tragedia del proprio Paese e del proprio tempo, la confessione che sgombra il campo da ogni sospetto di reticenza e di ambiguità rispetto alla guerra di liberazione algerina, di cui Camus ha faticato a liberarsi».

Ma nessuna autobiografia, sostiene Amelio, può appassionarci se non tocca in parte anche la nostra vita. «Nell’infanzia di Camus ad Algeri ho ritrovato le tracce della mia Calabria nel secondo dopoguerra. A suo padre così ostinatamente cercato si è sovrapposta l’immagine di mio padre lontano e sconosciuto. La nonna e la madre sono diventate le stesse presenze quotidiane di quando ero bambino. E così la sua scuola è diventata la mia scuola, il suo maestro il mio maestro. Non capita spesso a un regista di avere in dono una storia così alta da raccontare. Io ho voluto che diventasse anche la mia storia non per presunzione ma per umiltà. Ho fatto questo film per un atto d’amore».

Amelio ha puntato sul sentimento più che sui fatti: «Erano troppi. La prima stesura del libro comincia addirittura nel 1948 per terminare negli anni ’60, una saga sterminata. Ho cercato di cogliere il senso della vicenda, ridurre senza togliere. Non ho filmato ciò che non era necessario al sentimento che il film trasmette». La figlia di Camus ha condiviso questa sua scelta. «È stata il giudice più severo – ammette il regista – . È la custode dell’opera del padre, dopo aver visto il film ha detto: «È andata come volevamo che andasse. Non abbiamo riscritto il libro di mio padre ma abbiamo un altro bel film di Gianni Amelio».

I molti riferimenti all’attualità, alla primavera araba, non dipendono dalla voltontà del regista. «Non amo fare film ideologici, troppo politicamente sottolineati, sono contro le tesi prestabilite – precisa -. Agisco sui sentimenti, parlo di sentimenti. Ma alcune cose erano talmente nell’aria mentre giravo in Algeria, erano già in gestazione, che il riferimento non è del tutto casuale. È un film che storicizza le posizioni diverse degli estremisti, non solo di destra e dei militanti. La posizione di oggi è vicina a quella di Camus degli anni ’60».

Gli arabi lo hanno giudicato come il primo vero film storico sull’Algeria moderna. «Gli algerini si riconosceranno nel film. I francesi non so. A cinquant’anni da quella rivoluzione le loro ferite forse si sono rimarginate. Il film uscirà a ottobre in Francia, ma per ora non ne parlano». La cosa più difficile da trasferire nel film, spiega Amelio, è stata il pensiero di Camus nelle sue vere sfumature. «Sono nati tanti equivoci sulla sua posizione nei confronti della rivoluzione algerina, fu considerato un reticente, fu contrapposto a Sartre che andava ai cortei parlando di Algeria libera. Il film ristabilirà delle verità, con una precisione filologica molto attenta».

Chi è oggi il primo uomo? Amelio non ha dubbi: «Siamo noi!».